FESTA FRANÇOIS TRUFFAUT – La sposa in nero

Quello che interessa Truffaut è proprio questo gioco di seduzione e morte, di cacciatore e preda che si scambiano in continuazione i ruoli, senza che nessuno possa essere sicuro fino in fondo del ruolo che gli riserva il destino. Tratto dall'omonimo romanzo di Cornell Woolrich

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“Il cinema consiste nel filmare la morte al lavoro”

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Jean Cocteau

 

Se una donna lo desidera sa sempre trovare il modo per fare di un uomo ciò che vuole (anche ucciderlo) e, viceversa, un uomo non rinuncia mai al piacere (istinto) di corteggiare una donna (fosse anche la morte stessa). Alla fine di questo si tratta in La sposa in nero, molto più che della fedeltà all’omonimo romanzo di Cornell Woolrich dal quale è tratto e che narra la vicenda della povera Julie Kohler diventata vedova ancor prima che sposa a causa di un colpo di fucile partito per errore durante un gioco frutto di noia e alcool compiuto da cinque amici. Julie impiegherà anni a trovarli ma implacabilmente porterà a termine la propria vendetta, a volte in maniera rapida e quasi indolore, come nel caso del primo omicidio (quello di Bliss), altre volte in maniera straziante come nel caso di Morane; quasi sempre, comunque, giocando al gioco più amato da Truffaut: quello della seduzione, quello nel quale i ruoli fra preda e cacciatore si scambiano in continuazione.

 

A riprova che quello che interessa Truffaut è proprio questo gioco di seduzione e morte, di cacciatore e preda che si scambiano i ruoli, sta il fatto che “distilla” a tal punto il personaggio di Julie da farlo coincidere quasi con “l’angelo della morte” stesso. È completamente assente dal film, diversamente che dal libro, tutta la parte di meticolosa indagine con la complicità dell’ispettore di polizia. La sua vendetta, poi, è “pura” e completa, non c’è traccia del colpo di scena finale del libro nel quale l’assassino non era uno dei cinque e, comunque, il marito non era poi così innocente.

 

Questa costruzione austera del personaggio di Julie ha un unico momento nel quale sembra poter aver un cedimento ed è quando incontra Fergus, il pittore, interpretato da Charles Denner che qui dà un anticipo del corteggiatore “infallibile” che interpreterà dieci anni più tardi in L’uomo che amava le donne. Ma i binari della storia non la liberano e le consentono di “deragliare” da suo personaggio solo … a parole: in un corteggiamento sospeso che resta uno dei momenti più “truffautiani” (e quindi più autentici) del film. Dal punto di vista formale tutte le scelte sono fatte “di testa”: a cominciare da quella di affidare le musiche a Bernard Hermann (il compositore preferito di Hitchcock) e l’omaggio a Marnie in apertura. Ma questi sono “falsi indizi” visto che Truffaut ha in mente il “tradimento” del maestro, attraverso il tradimento del noir che diventa “un film d’amore senza una sola scena d’amore”. Anche la scelta del colore (che elimina la poesia) e quella di “ingabbiare” un’attrice tanto intensa e vitale come la Moreau in un personaggio così poco espressivo e vitale, sono altre scelte fatte di testa di cui, anni più tardi, si pentirà lui stesso, quando si accorgerà che il meraviglioso giocattolo intellettuale che ha costruito ha difficoltà a trovare la via del cuore dello spettatore.

 

 

Titolo originale: La mariée était en noir

Regia: François Truffaut

Interpreti: Michael Lonsdale, Jean-Claude Brialy, Michel Bouquet, Jeanne Moreau, Alexandra Stewart, Charles Denner

Origine: Francia, 1968

Durata: 107'

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