FESTIVAL DI ROMA 2011 – “Butter”, di Jim Field Smith (Alice nella città)

Il secondo film del regista del sorprendente Lei è troppo per me si rivela un nuovo tassello in quella che va costituendosi come la filmografia di un autore da tenere d’occhio: come con la Pittsburgh e l’aeroporto del film d’esordio, Field Smith costruisce qui con grande acume soprattutto un’ambientazione originale e coerente, che si fa anche luogo interiore della vicenda narrata. Con una grossa attenzione ai personaggi dei comprimari, e dei ruoli femminili (Jennifer Garner, Alicia Silverstone, Olivia Wilde, Ashley Greene) straordinari

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Come già scrivemmo in occasione della prima edizione di questo Festival (recensendo tra l’altro un film per molti versi vicino a questo di Jim Field Smith), la sezione di cinema per ragazzi “Alice nella città” continua a dimostrarsi il luogo dell’Auditorium dove rinfrancar lo spirito con le visioni più fresche e convincenti di tutta la programmazione. Il secondo film del regista del sorprendente Lei è troppo per me conferma la convinzione, e si rivela un nuovo tassello in quella che va costituendosi come la filmografia di un autore da tenere d’occhio: come con la Pittsburgh e l’aeroporto del film d’esordio, Field Smith costruisce qui con grande acume soprattutto un’ambientazione originale e coerente, che si fa anche luogo interiore della vicenda narrata.
Il racconto della rivalità tra artisti delle sculture di burro non diventa mai il pretesto per lasciarsi andare al gusto del grottesco (forse giusto Hugh Jackman e le due strepitose comprimarie Phyllis Smith e Kristen Schall corrono il rischio di tanto in tanto, ma si tratta soprattutto di colorate caratterizzazioni di supporto, su cui Field Smith sembra porre molta attenzione, qui come in Lei è troppo per me), quanto in realtà lo sfondo “leggero” su cui imbastire un racconto dal grande impatto emotivo e sentimentale. Per far emergere la storia umanissima della splendida piccola protagonista Destiny, Field Smith non sceglie di alzare i toni del melodramma e della tragedia, ma preferisce contrapporla alla ridicolizzazione della fredda, calcolata esistenza della rivale Jennifer Garner.
E il film risulta vincente soprattutto nel disegno dei personaggi femminili, vedere la formidabile mamma interpretata dalla ritrovata Alicia Silverstone, e soprattutto l’inaspettato rapporto che nasce tra l’adolescente incazzata Ashley Greene e la stripper sboccatissima Olivia Wilde (un altro personaggio a rischio macchietta ma a cui invece la Wilde, interprete formidabile, riesce ad infondere una fragile umanità).
E’ così che i frammenti di politicamente scorretto da puro cinema indie USA sulla vita di provincia (gli sfottò sulle fissazioni comunitarie e religiose rappresentati dalle pluripremiate sculture di burro del campione Bob Pickler, dedicate a Laura Bush, Schindler’s List, la Passione di Cristo con Neil Diamond nel ruolo di Gesù, e l’Ultima Cena di Leonardo – “migliore dell’originale!”) non assumono mai la centralità del discorso di Field Smith, che invece costruisce sequenza dopo sequenza il rapporto della foster child protagonista con i suoi nuovi, amorevoli genitori, e con il resto della comunità.
Lei, otto anni, afroamericana, per farsi accettare nell’universo di “visi pallidi” in cui è piombata, non ha altra scelta che vincere la competizione a cui tengono di più: e non può che farlo rimarcando le sue origini, le sue radici, con un ritratto della madre "nera" perduta – contro la scultura della crudelissima Jennifer Garner che immortala l’attimo in cui JFK viene colpito dal proiettile letale sulla sua decappottabile a Dallas. Va da sé: Butter potrebbe anche avere una valenza di istantanea squisitamente “politica”…

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