FESTIVAL DI ROMA 2012 – "Un enfant de toi", di Jacques Doillon (Concorso)

 Un enfant de toi

Coerentemente col discorso portato avanti nel suo corpus filmico, Doillon costruisce un romanzo-fiume sui sentimenti, sulla coppia come rapporto di forze sempre sbilanciato, che estremizza il cinema di parola dei Rohmer e dei Garrel, intrecciandolo con tempi e procedimenti di una pièce teatrale, diretta a tratti dalla piccola Lina. E dietro le funamboliche architetture retoriche e i raffinati sofismi amorosi il film sembra voler raccontare l'amore come un jeu d’enfants, attraverso l'ironia dei contrappunti infantili

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Un enfant de toiIncontenibile Jacques Doillon. A due anni dal suo ultimo film, Le mariage à trois, firma con Un enfant de toi una summa delle opere precedenti, osservando la vie de famille e un nuovo triangolo amoroso con lo stupore e la lucida semplicità dell’infanzia, trovando nella piccola Lina una sorellina maggiore della dolcissima Ponette, protagonista dell’omonimo film del  1997.

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Coerentemente col discorso portato avanti nel suo corpus filmico, raccontando l’impossibilità del distacco fra Aya e Louis, da poco separati ma ancora legati da una figlia e da una passione che neanche le relazioni con i nuovi compagni riescono a attenuare, Doillon costruisce un romanzo-fiume (oltre due ore e venti) sui sentimenti, sulla coppia come rapporto di forze sempre sbilanciato Mi mettevi o troppo in alto o troppo in basso, mai al mio posto”; sulla paura di rivelarsi troppo “Leggevi tutto di me, anche quelle cose che non ho mai amato” e quella di non essere compresi; sulla mutevolezza di ogni amore, persino il più assoluto e istintivo, quello materno: “Non sempre sento di volere bene a Lina” dice Aya, una Lou Doillon nodosa, dal volto asimmetrico e scostante che sembra incarnare con la sua fisicità aspra la stessa radicalità del film, poco propenso ad andare incontro al pubblico, ad assecondarne ritmi o aspettative.

 

Un enfant de toiDiviso in tre atti, girato quasi interamente in interni, eccetto qualche giardino e il lungomare bretone del finale che scioglie i nodi e libera finalmente i corpi dei suoi protagonisti, Un enfant de toi estremizza il cinema di parola dei Rohmer e dei Garrel, intrecciandolo con tempi e procedimenti di una pièce teatrale, dove gli appartamenti in cui Doillon racchiude Aya, Louis e Victor diventano ideale palcoscenico di una pochade, diretta a tratti dalla piccola Lina, capace di condizionare le gerarchie amorose del triangolo a volte con la tipica crudeltà infantile, inconsapevole e divertita, altre volte con dei giudizi morali che rivelano nella loro naturalezza il lato ridicolo delle relazioni adulte.

 

Un po’ come la Pauline rohmeriana, adolescente scottata dalle machiavelliche costruzioni mentali della “gente matura”, Lina osserva, registra bugie, tradimenti e malumori, agendo sul teatrino dei suoi genitori con gli stessi modi risoluti applicati coi compagni di scuola.
Un enfant de toi sembra voler raccontare proprio un jeu d’enfants, che dietro funamboliche architetture retoriche, dietro ai raffinati sofismi amorosi dipanati lungo il racconto, si scioglie poi in un festoso – e sempre platonico, o quanto meno sublimato – ménage à trois, con la stessa leggerezza con cui Lina celebra le nozze dei suoi amichetti: e se i bambini si sposano con l’anello di diamanti rubato alla mamma agli adulti spetta quello di metallo ricavato dalla linguetta di una lattina.
E il film si imprime per l’ironia che trapela da questi contrappunti infantili, che sono da sempre il punto di forza della regia di Doillon: la sua innata capacità di filmare i piccoli protagonisti, ereditata (e forse persino oltrepassata…) dal Truffaut de Gli anni in tasca, indica la direzione in cui leggere Un enfant de toi.

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