FESTIVAL DI ROMA 2013 – Seventh Code, di Kiyoshi Kurosawa (Concorso)

Bastano solo sessanta minuti al cineasta giapponese per pre-supporre un’infinità di traiettorie parallele (di generi, narrazioni, archetipi classici) in questa sorta di liberissimo trattatello su ossessioni e passioni distillate dal cinema. Questo è un film di incontri e addii, di amori troncati e agghiaccianti crudeltà, di sentimenti trattenuti e poi condivisi, di volti doppi e tripli… 

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Ciò che vediamo con gli occhi è solo una minima parte del mondo” dice/canta la bella protagonista Akiko nell'improvvisa performance che chiude questo Seventh Code. Ennesimo “piccolo” gioiello regalatoci dal sempre più prolifico Kiyoshi Kurosawa. Solo una minima parte del mondo, appunto. Perché tutto il resto rimane oltre il campo e la storia, (soprav)vive nella memoria e nello sguardo di uno spettatore straordinariamente attivo. Insomma: bastano solo sessanta minuti al cineasta giapponese per pre-supporre un’infinità di strade parallele (di generi, narrazioni, archetipi puri) che noi possiamo potenzialmente intraprendere. Una sorta di liberissimo trattatello su ossessioni e passioni distillate dal cinema: echi da noir classico tra un bacio e una pistola, mescolati a fulminee svolte nouvelle-vaghiane.

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Siamo in Russia. A Vladivostok. Incontriamo subito la giovane e bella Akiko che corre trafelata verso un uomo: gli parla di un loro incontro passato, in Giappone, e gli chiede il perché della fine istantanea di quella storia. Abbiamo intrapreso una strada pertanto: l’ossessione di una donna che la porta in un Paese lontano pur di rivedere l’amato; poi un abbandono e le varie peripezie che la porteranno a solidarizzare con una coppia di ristoratori giapponesi emigrati. Ma questa miracolosa linearità narrativa è solo la corteccia delle tante traiettorie prodotte dal film e tenute insieme da un sublime mcguffin hithchcokiano.  

Noi siamo là con Akiko. Investiti da incomprensibili accelerazioni di vita: si lascia incustodito un ristorante, “non importa!”, per correre dietro a un uomo misterioso e la sua trama spionistica appena abbozzata. E poi subito dopo da improvvise decelerazioni che aprono ai sentimenti: un fiore regalato mentre si passeggia al buio, gesto “indipendente” da ogni funzionalità narrativa, gesto mozzafiato che tratteggia in un frame il retroterra umano di un personaggio. Sino agli ultimi, abissali, capovolgimenti identitari: Akiko è vittima o carnefice del misterioso giovane uomo? Questo è un film di incontri e di addii, di amori troncati e agghiaccianti crudeltà, di sentimenti trattenuti e poi condivisi, di volti doppi e tripli. Kiyoshi Kurosawa guarda avanti "tornando indietro ai film di una volta", come dice in conferenza stampa. E nel frattempo tratteggia la vita

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