Ferie d’agosto, di Paolo Virzì

Commedia di costume dai toni leggeri e dal senso aspro e preveggente, un film così denso di realtà e fondato sul racconto con un gruppo di attori particolarmente ispirati

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Nella metà degli anni 90, Virzì ci racconta una sinistra in crisi d’identità disorientata davanti ad un nuovo che avanza che assume le sembianze di un qualunquismo viscerale e connaturato e di un razzismo altrettanto prepotente. Al di là di questo non si riescono a delineare i profili di un nemico che sembra avere la capacità di assimilare forme e comportamenti fin a quel momento opposti e contrari.

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Due gruppi di amici trascorrono le ferie d’agosto in vacanza sull’isola di Ventotene (già utilizzata da Moretti nel suo La messa è finita). Si comprende che i loro principi sono differenti e appartengono ad opposte tendenze politiche. La loro diversità li obbligherà a scontrarsi a causa di un grave episodio di cui uno di loro è responsabile. Il finale, come in ogni comemdia che si rispetti, metterà le cose a posto, tranne che per qualcuno.

Abbiamo imparato, con il tempo, ad apprezzare il lavoro di Paolo Virzì che si legittima come l’unico erede di una tradizione antica e gloriosa che ha sempre saputo definire i contorni sociali del nostro Paese attraverso le storie di un cinema che ha il pregio di essere immediato nella comunicazione, ma che rilascia effetti anche a distanza di tempo rispetto alla sua visione. Così era il cinema di Monicelli, del migliore Risi, del capostipite Germi e oggi del quasi solitario Virzì. I suoi racconti, come da lezione dal passato, hanno sempre lavorato attraverso i caratteri di un cinema che vuole essere popolare negli intenti  e con un suo originale pedigree nella concezione. Un lavoro frutto di uno studio e di una attenta contestualizzazione. Da qui quella immediata riconoscibilità collettiva che è la traccia migliore per testare l’effetto sul pubblico.

Il cinema di Paolo Virzì si avvale quindi di quella tradizione e, a parte alcune cadute evidenti (Baci e abbracci, per citare la più

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Ferie d'agosto, Silvio Orlando e Gigio Alberticlamorosa), costituisce un dispositivo che utilizza una sostanzialità sociale (termine sul quale sarà utile tornare) per dare una immediata lettura del contesto collettivo dal quale trae spunto. Virzì sembra essere l’unico autore che conserva questa dote. Così, se pur con i suoi difetti, Ovosodo, è un diario sospeso tra il politico e il privato (che all’epoca era pubblico), in un’Italia che stava cambiando come cambiava il protagonista, Ferie d’agosto, di due anni prima, è il profilo pubblico di quella stessa storia, è quasi la sceneggiatura e la messa in scena dell’effetto le cui cause saranno raccontate in quel secondo film. Lo sviluppo della cattiveria quale conseguenza della perdita dell’innocenza. I due film, che troviamo molto vicini nelle intenzioni, si reggono su questa antitesi che sviluppano con una certa chiarezza e un sincerità di fondo. Tanto ricercata che in Ferie d’agosto, diventa perfino, nella seconda parte, un po’ eccessiva sconfinando, a tratti, nell’assai evitabile didascalia. È un peccato perché questa ossessiva necessità, portata all’estremo, diventando un difetto, fa rimpiangere il senso generale dell’operazione che oggi appare molto più esplicita nella sua lungimiranza e sensibilità di quanto lo fosse in quel presente.

Queste doti hanno permesso a Virzì di avviare un percorso artistico consapevole e, rispetto al quale, il regista tiene fede con un affinamento della propria percettività, che resta una delle migliori qualità che un artista dovrebbe avere nell’osservare il presente. Di tutto questo ne è prova l’ultimo suo film Il capitale umano che si fa interprete della nostra contemporaneità e di quel manifestarsi di un istinto auto/distruttivo che vede dilapidare riserve economiche e umane in un’Italia sempre misera e miserabile. Gli squali e i piccoli sciacalli ancora una volta si fronteggiano, ma sono diventati tutti cattivi, i buoni sono spariti, forse affondati nell’azzurro mare di quell’agosto.

Ferie d'agosto, 1995Virzì racconta, quindi, con una sensibilità e una vena ironica e amaramente divertita, quella sostanzialità del sociale, quella quotidianità diretta e inevitabile conseguenza del disastro avvenuto a monte; e mentre cadono le briciole delle macerie, Virzì è lì a raccoglierne, con il suo cinema, gli effetti. Non è un raccogliere le briciole del disastro quell’altro sguardo ancora rabbuonito sul mondo che è Tutta la vita davanti ?

Non sempre è facile mettere in scena questa contemporaneità così cogente, così immediata, così vissuta nel momento stesso in cui la si racconta. Ma il regista livornese possiede una sua ricetta, un suo sguardo che tiene desta l’attenzione dello spettatore obbligandolo a guardarsi allo specchio per domandarsi se quel viso che vede è un volto che gli piace.

Ferie d’agosto costituisce quindi – dopo l’esordio smaccatamente politico di La bella vita (che suonava quasi come un ammonimento) – nella sua struttura fondante, ancora primitiva rispetto a questa evoluzione, un esperimento da laboratorio per questo cinema così denso di realtà, eppure così fondato sul racconto che riproduce il senso generale senza diventare pedanteria narrativa.

Commedia di costume dai toni leggeri e dal senso aspro e preveggente, tanto quanto sarebbe durato e durerà ancora la profonda, inarrestabile e capillare mutazione genetica del corpo sociale dell’Italia, in virtù di una altrettanto efficace capacità comunicativa di un potere politico che non solo avrebbe trasformato il senso di questa parola, nel volgere di pochi anni, ma avrebbe fatto emergere un volto dell’Italia di insospettata antipatia, colta da una malattia sociale e sempre più diffusa che si sintetizza nella parola egoismo: nudo, crudo e assoluto. Non importano gli effetti collaterali e quelli ulteriori su chi l’egoismo non se lo può permettere.

Virzì lavora come in un laboratorio e l’isola, già laboratorio politico nel passato, diventa terreno di coltura di questo galoppante e meschino egoismo che vede infettare lentamente i protagonisti di entrambe le parti che diventano sempre più simili e le cui differenze si sbiadiscono. È il malinteso snso di uguaglianza, è quel senso di speranza, tanto odiato da Monicelli, la realtà è un’altra e già in Ferie d’agosto Virzì ci avvertiva, ma le cose sono andate in un altro modo.

E qui ci vorrebbe, ancora una volta, Nanni Moretti…

 

Regia: Paolo Virzì
Interpreti: Silvio Orlando, Sabrina Ferilli, Ennio Fantastichini, Laura Morante, Piero Natoli, Gigio Alberti, Paola Tiziana Cruciani, Antonella Ponziani, Silvio Vannucci
Durata: 106′
Origine: Italia, 1996
Genere: commedia

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4.5 (2 voti)
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