Frantic, di Roman Polanski

Più di venti anni prima di esplodere nell’autobiografismo impazzito e surreale di Venere in Pelliccia, Polanski, con Frantic, confeziona un thriller da manuale del cinema.

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Il debito verso il “maestro del brivido” è chiaro sin dalla sceneggiatura (scritta a quattro mani da Polanski e il collaboratore di vecchia data, Gérard Brach) che si presenta come l’incipit del più classico thriller hitchcockiano: Il dottore americano Richard Walker (Harrison Ford) si trova a Parigi con la moglie (Betty Buckley) per un impegno lavorativo. Un banale scambio di valige innescherà una reazione a catena di eventi che porterà al rapimento della moglie. Abbandonato dalle autorità, Edwards deciderà di lanciarsi da solo nella risoluzione del mistero, per niente consapevole del pericolo che lo attende. La giovane Michelle (Emmanuelle Seigner, futura moglie del regista, qui al suo debutto attoriale) sarà l’unico volto amico su cui potrà fare affidamento il dottore americano.

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Polanski, con il dr. Edwards, crea un doppione palese di Roger Thornhill (Cary Grant), protagonista di Intrigo internazionale. L’uomo medio, agiato ma non ricco, senza nessuna conoscenza importante, così anonimo da risultare quasi insignificante che si ritrova, fatalmente, invischiato in situazioni che trascendono la sua volontà. L’operazione di Polanski non si ferma all’ossatura narrativa, e il regista decide di rimettere in scena il genio di Hitchcock, ripercorrendo letteralmente e formalmente tutto il cinema del maestro: c’è la doccia di Psycho, il senso di vuoto e vertigine di (ancora una volta) Intrigo internazionale, la ricerca disperata di L’uomo che sapeva troppo, l’espediente narrativo del McGuffin, e ovviamente, l’immancabile cameo registico all’interno del proprio film. Ben oltre il semplice vezzo citazionistico, l’esplicito rimando cinematografico crea un ulteriore livello di ossessività, che si somma incredibilmente a quello già presente nel film in sé.

Si potrebbe continuare a lungo esaminando scena per scena Frantic per capire fino a dove si proietti l’ombra del regista inglese, ma si perderebbe la vera essenza della pellicola. Perché l’incredibile lavoro di regia di Polanski si concretizza in un film che supera la somma delle sue parti e, al di là del rimando cinematografico, riesce a vivere di vita propria. Frantic è si Hitchcock, ma assorbito e re-immaginato completamente da Polanski.

Ed ecco che Parigi, nuova casa per l’esule Polanski, viene trasfigurata dallo sguardo del regista. Tramite una messa in scena perfetta e con l’aiuto delle musiche di Ennio Morricone, la città viene completamente avvolta in un’atmosfera così opprimente da perdere ogni punto di riferimento con l’immaginario classico: non è un caso che, una volta immerso totalmente nel thriller (sconfinando quasi nel noir), l’edificio simbolo della città, la Tour Eiffel, scompaia. Nella Parigi di Polanski, l’appuntamento è ai piedi della Statua della Libertà.

Nella continua commistione, sempre presente nella schizofrenica filmografia di Polanski, tra cinema vita e memoria, il film assume quindi un ruolo fondamentale nella riflessione del regista. Perché Frantic è, a conti fatti, una grandissima dichiarazione d’amore, lontananza e astinenza verso una casa in cui Polanski potrà fare ritorno solo ed esclusivamente attraverso il cinema.

 

Titolo originale: id.
Regia: Roman Polanski
Interpreti: Harrison Ford, Emmanuelle Seigner, Betty Buckley, John Mahoney, Gérard Klein, David Huddleston
Durata: 119′
Origine: USA, 1988

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.2

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4 (9 voti)
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