FILM IN TV – Hatfields & McCoys, di Kevin Reynolds

hatfields & mccoys

Reynolds & Costner si muovono, con la piena coscienza dei classici, su quel terreno fordiano in cui la storia cede il passo alla leggenda. In un certo senso riaffermano la prospettiva e le modalità di una visione arcaica nettamente in contrasto con la velocità del racconto contemporaneo, collaudata proprio dalle serie Tv.

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hatfields & mccoysIndurite i cuori

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2012: diciassette anni dopo le tumultuose vicende della lavorazione di Waterworld, Kevin Reynolds e Kevin Costner si ritrovano insieme, per raccontare una delle vicende più “proverbiali” d’America: la clamorosa faida familiare che insanguinò il confine tra il Kentucky e il West Virginia lungo il fiume Tug Fork, dal 1863 al 1981. La guerra tra gli Hatfields e dei McCoys è il perfetto luogo d’incontro tra la storia e la leggenda: una vibrante tragedia dai toni shakespeariani, ma anche una sorta di colpo di coda della grande guerra civile americana. Ed è proprio sul finire della guerra che iniziano i dissidi tra William Anderson Hatfield, detto Devil Anse, e Randolph “Randall” McCoy. Entrambi militano con coraggio e fedeltà nelle forze sudiste, lottano fino all’evidenza della disfatta, si salvano la vita a vicenda. Sono legati dall’appartenenza e da un obbligo morale reciproco. Ma sono divisi da un’insuperabile differenza di atteggiamento e visione: l’abnegazione religiosa di Randall contro la saggia e ruvida concretezza di Anse. E proprio questa differenza sarà la radice fondamentale del loro odio.

 

Reynolds e Costner, “autore” ben oltre il ruolo di produttore e interprete, scoprono ancora un’unità di sguardo, quella che aveva costruito l’immagine divistica di Costner a partire da Fandango. È passato il tempo ed è cambiato il contesto: una miniserie televisiva di tre puntate prodotta da History Channel. Ma poco importa il mezzo, se non nella misura in cui Hatfields & McCoys s’incunea nell’esatto centro del paradosso del sistema televisivo, che sembra a un tempo la retroguardia e l’avanguardia dell’industria cinematografica globale, il contenitore che recupera vecchi generi e vecchie star, una sorta di deposito della storia del cinema e, d’altro canto, il luogo della sperimentazione e codificazione delle nuove strategie narrative e formali. Fatto sta che Reynolds e Costner, con l’aiuto degli sceneggiatori Ted Mann e Ronald Parker, riportano la storia d’America nel suo orizzonte immaginario naturale, il western. E così riescono nel miracolo insperato di ridonare al genere tutta quella valenza mitica, politica e emotiva, che sembrava ormai essersi del tutto dispersa, per rimanere solo in parte aggrappata a quei pochi tentativi solitari degli ultimi anni. Dopo anni di oblio, il western ridiventa, finalmente, il luogo in cui si rigenerano la memoria e i miti di una nazione, l’espressione compiuta di una grande forma che oltrepassa i limiti del piccolo schermo (quanto piccolo, ormai?), che ingloba, nell’impressionante tensione drammatica di una vicenda “risaputa” e nel tratto deciso di personaggi “fondativi”, tutte le esigenze dei tempi e delle strategie del racconto televisivo, con la sua suspense calcolata, le attese e le ripetizioni tra un episodio e l’altro.

 

hatfields & mccoysHatfields & McCoys si muove, con la piena coscienza di un classico, su quel terreno fordiano in cui la storia cede il passo alla leggenda. In un certo senso riafferma la prospettiva e le modalità di una visione arcaica nettamente in contrasto con la velocità del racconto contemporaneo, collaudata proprio dalle serie Tv. E non è un caso che giochi gran parte del proprio fascino sulla riproposizione e presenza vitale di un gruppo di vecchi arnesi, attori fondamentali nell’affermazione di un immaginario “di genere” (?) del cinema a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, poi caduti nell’indifferenza del tempo, da Tom Berenger al redivivo Powers Boothe.

A tratti, sembra davvero di assistere a un viaggio in un’altra era geologica, quella di passaggio tra l’Antico e il Nuovo Testamento della storia del cinema. E in questo senso, la presenza determinante di Kevin Costner, la star “superata” nel giro di un decennio, naufragata nel mondo inabissato di Waterworld e recuperata di quando in quando come una specie di coscienza profonda, mitica della nazione (l’unico paragone plausibile è con Sam Shepard), assume una valenza “politica” decisiva, come l’ultima declinazione possibile dello spirito della frontiera.

 

hatfields & mccoysMa, aldilà delle tentazioni nostalgiche, quel che conta è che Hatfields & McCoys recupera una dimensione epica e umana struggente. Davvero Kevin Costner, con il suo Devil Anse, disegna un personaggio monumentale, titanico, smisurato, che sullo schermo non si vedeva da anni, se non da decenni. Un uomo hustoniano sempre sospeso tra la saggezza (nel sangue) e la durezza, la propensione alla giustizia e l’eccesso della violenza, la pietà e la condanna. Comprensivo eppur spietato nei confronti dei nemici, incapace di trarsi fuori da una spirale d’odio alimentata da incomprensioni, assassini, ciechi orgogli e disumane fierezze, almeno fino all’inevitabile presa d’atto di appartenere a un altro tempo e a un’altra morale, lontani anni luce dalla generazioni dei figli. Ed è proprio questa lucidità da ultimo Ethan Edwards a marcare tutta la sua distanza dalla follia ossessiva di Randall McCoy, che Bill Paxton dipinge come una specie di Capitano Acab sopravvissuto al Moby Dick della Guerra civile. E così, se Devil Anse obbliga se stesso e gli altri a indurire i cuori per un’ultima volta, Randall rimane sordo all’invito della moglie a lasciare che il suo cuore si spezzi per uscire dalle macerie della storia. Magnifico.

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