Il fiume rosso, di Howard Hawks

Il primo western del regista, un percorso on the road che mostra tutta la condizione di erraticità dell’animo umano attraverso la figura di John Wayne e il figlio adottivo Montgomery Clift. Un cult

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Lo sguardo di Howard Hawks, ne Il fiume rosso, rende visibile la compresenza dei corpi, il loro compenetrarsi, filmando l’assenza e l’attesa che danno luogo ad una emorragia del tempo e delle forze vitali (la lunga ellisse di quindici anni, il trasferimento di diecimila capi di bestiame per mille miglia, lungo il fiume rosso dal Texas al Missouri, lo scontro tra Tom Dunson/John Weyne e il figlio adottivo Matthew Garth/Montgomery Clift). Una emorragia attraverso la quale le immagini sembrano trasparire al tocco di una sguardo che cerca, nella sua prensilità, di trattenerne il continuo fluire. Perché il nostro sguardo possa aderire agli istanti assorbiti nel continuo movimento delle immagini, Hawks lo espone ad un corpo a corpo emozionale con la materia invisibile e impalpabile del vivere, filmando la relazione di un transito che oscilla tra identità e reversibilità, o meglio nella perpetua oscillazione di una disarmonia del desiderio tra euforia, orgoglio, sfrontatezza ed incertezza (gli stessi sentimenti che legano Tom e Matthew).

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Un film in cui le immagini vivono di un delicato congiuntivo imperfetto che, anziché essere il segno di un tradimento, in cui un’immagine nega l’altra, è l’espressione di un tenero, accomodante e, forse anche, disseminante sprofondare nella densità dei corpi amati, come in una ossessiva ed estenuante sovrimpressione, in cui le immagini si dissolvono, si avvicinano, si sfiorano, ria(ni)mandosi nel loro coesistere e, insieme, nell’illusione di una inquietudine pacificata; ciò che qui sembra esprimersi è l’intrusiva indiscrezione della ricerca di sé nell’altro, l’esposizione dei corpi ad uno sguardo estatico nella ricerca di nuove conferme, nuove fughe e nuovi incontri, quasi il bisogno di una prossimità eventuale a cui potersi avvicinare nell’inesauribile trascorrere del tempo.

 

Il fiume rosso di Howard Hawks è il tentativo di un approdo di fronte al naufragio inevitabile ed in(de)finito di uno sguardo esule che, guardando il/al mondo dall’interno della propria intimità, non può non desiderare di spingersi fuori di sé e dalla sua dimora: nell’incontro/scontro di Tom con Matthew, nel finale del film, Hawks mostra tutta la condizione di erraticità dell’animo umano. Ecco allora che la figura del figlio si sovrappone a quella del padre, come le parole della donna amata dall’uno a quelle della donna amata dall’altro, in un conflitto che è incrocio e, ad un tempo, con-fusione tra immagini e corpi, in un fluire instancabile e inesauribile del desiderio, in una aritmia dei sentimenti che mima l’esistenza e si nutre del gioco, in apparenza, asimmetrico delle parti. Altrove la bionda Lorelei Lee/Marilyn Monroe si sovrappone alla bruna Dorothy Shaw/Jean Russell, quasi a formare una endiadi, un insieme concettuale e concreto di due termini/corpi, in cui il primo, coinvolge, implica l’altro come conseguenza necessaria, e la loro correlazione fonde il significato dell’insieme; come, anche, nelle immagini di Un dollaro d’onore che si rendono, ancora una volta, presenti nella specularità di El Dorado. Il fiume rosso mostrando tutto ciò che è esperibile al tatto e alla visione, al tatto della visione, rivela il farsi visuale di un desiderio che si nutrire della sua stessa fragilità e bellezza.

 

Titolo originale: Red River
Regia: Howard Hawks
Interpreti: John Wayne, Montgomery Clift, Joanne Dru, Walter Brennan, Coleen Gray, Harry Carey, John Ireland, Harry Carey jr.
Durata: 133′
Origine: USA, 1948
Genere: western

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
5
Sending
Il voto dei lettori
5 (2 voti)
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