FILM IN TV – Indiana Jones e il tempio maledetto, di Steven Spielberg

Diviso in due parti, una ironica e solare, l’altra claustrofobica e orrorifica, con la narrativa di Salgari e la fumettistica anni 30-40, squarci di Berkeley e Lean. Giovedì 14/7, ore 21, Sky Max

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Dopo il successo mondiale de I predatori dell’arca perduta (1981), George Lucas e Steven Spielberg mettono in cantiere il secondo capitolo delle avventure di Indiana Jones trasportando l’azione tra la Cina e l’India. I fatti si svolgono nel 1935, quindi un anno prima di quelli di The Raiders; al posto dei nazisti il ruolo del cattivo è affidato a Mola Ram, guru di una setta religiosa devota alla Dea Khali.

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Il film è nettamente diviso in due parti: la prima, ironica e solare, vede Indy (Harrison Ford)  alle prese con trafficanti cinesi nel locale Obi-Wan (chiaro il riferimento alla saga di Guerre Stellari) di Shangai e poi in fuga in un aereo che rimane senza piloti; la seconda, claustrofobica e orrorifica, è una vera e propria discesa negli inferi del tempio indiano nel quale si compiono sacrifici umani.

indiana jones e il tempio maledettoNonostante la maggior parte della critica giudichi questo capitolo il più debole della intera saga, ci sono diversi motivi per consigliarne la visione. Prima di tutto il folgorante incipit in cui Willie (Kate Capshaw, moglie di Steven Spielberg) canta in cinese Anything Goes di Cole Porter in uno splendido omaggio al coreografo della Grande Depressione, Busby Berkeley. Il numero musicale, affascinante e ipercromatico (la nota dominante è il rosso, che richiama il colore dei titoli di testa), si tramuta molto presto in una schermaglia avvincente tra Indy e il boss cinese: nel caos della sala da ballo, il diamante e l’ antidoto scivolano da una parte all’altra con un esponenziale effetto comico. L’inizio frenetico ha il suo prolungamento nell’incidente aereo e nel rafting improvvisato di Indy, Willie e il piccolo Shorty (bravissimo Ke Huy Quan, lo rivedremo ne I Goonies). Il tono leggero trova il suo completamento nella cena con il piccolo maharaja (si servono insetti, scarafaggi e come dessert cervelli di scimmia sul modello di Cannibal Holocaust) e nelle schermaglie amorose tra Harrison Ford e Kate Capshaw auto-segregati nelle proprie camere.

indiana jones e il tempio maledetto harrison fordPoi il rosso inonda tutta la pellicola: sia nella scena del cuore strappato a mani nude che nelle fiamme che bruciano i corpi offerti in sacrificio, vi è una certa tendenza a enfatizzare il dettaglio macabro, amplificato dalle urla ridondanti di Willie. Rispetto al primo capitolo, Indiana Jones e il tempio maledetto omaggia sempre la narrativa di Salgari e la fumettistica anni 30-40, ma inserisce una nota sadica persino nei ritratti dei personaggi bambini: il maharaja ipnotizzato, i piccoli schiavi della miniera, Shorty torturato. Lo stesso governo indiano ebbe a protestare per il ritratto poco lusinghiero del proprio popolo (gli inglesi avrebbero dovuto essere il paese padrone-colonizzatore). Nonostante queste limitazioni, il film è denso di tante scene spettacolari accompagnate dalla caratteristica musica di John Williams: la stanza trappola con il soffitto di pali acuminati che lentamente si abbassa verso i prigionieri, le montagne russe della fuga in miniera con un montaggio mozzafiato (un plauso a Michael Kahn) e il finale sulla passerella sospesa nel vuoto girata in Sri Lanka, nei luoghi de Il ponte sul Fiume Kwai (1957), film omaggiato nella scena dei pipistrelli che oscurano il cielo.

Premiato nel 1985 con l’Oscar per i migliori effetti speciali (nell’equipe Industrial Light & Magic un giovanissimo David Fincher), Indiana Jones e il tempio maledetto rimane sospeso a mezz’aria, come i suoi protagonisti nel sottofinale, compresso tra l’originalità de I predatori dell’arca perduta (1981) e il forte impianto narrativo di Indiana Jones e l’ultima crociata (1989).

Titolo originale: Indiana Jones and the Temple of Doom

Regia: Steven Spielberg

Interpreti: Harrison Ford, Kate Capshaw, Ke Huy Quan, Amrish Puri, Roshan Seth, Dan Aykroyd

Durata: 112′

Origine: Usa 1984

Genere: avventura

Giovedì 14 luglio, ore 21, Sky Max

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