L’appartamento, di Billy Wilder

L'appartamento

Un film che vive sulle solite argute ambiguità del suo autore. Il sapore di commedia e il retrogusto amarissimo diventano connotazioni disturbanti che si traducono nell’incapacità di farsi riconoscere immediatamente dentro il genere della commedia ma è questo il vero motore del film. I due elementi raggiungono il perfetto equilibrio grazie ad una sceneggiatura invidiabile e ad una perfetta scansione narrativa. Venerdì 14 febbraio ore 14,00 su la 7D.

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Quando realizzo un film non lo classifico mai, non dico è una commedia, aspetto l’anteprima, se il pubblico ride molto dico è una commedia o un film serio o un film noir.

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Billy Wilder

 

Riteniamo che non ci possano essere più parole per celebrare il genio di Billy Wilder e questo film, mai sufficientemente lodato, resta una dei suoi apici produttivi.

Venuto immediatamente dopo A qualcuno piace caldo, L’appartamento è un film che vive sulle solite argute ambiguità del suo autore, dal sapore di commedia e dal retrogusto amarissimo. Per questi motivi è stato uno dei film più incompresi tra quelli girati da Wilder, o meglio tra i più sottovalutati dalla critica americana, avendo trovato migliore fortuna in Europa, nonostante gli Oscar ricevuti per miglior film, regia, sceneggiatura originale, scenografia e montaggio, oltre agli innumerevoli riconoscimenti che anche i suoi protagonisti hanno ricevuto in seguito nei numerosi festival tra i quali quello di Venezia.

La connotazione disturbante del film sta proprio in quella incapacità di farsi riconoscere immediatamente come commedia a tutto tondo, a causa di quell’incomprensibile risvolto amaro e drammatico, vero motore del film, che si trasforma in perfetto equilibrio della sceneggiatura e della narrazione. Nell’introversione drammatica trova traduzione, con tratti essenziali che restano eccellenti soluzioni, la solitudine metropolitana unita a quella che si chiamava alienazione del lavoro, stemperata  nell’ironia caustica delle situazioni. Questo impianto porta il film verso coordinate instabili rispetto ai consolidati clichè della commedia. Ma la specialità di Wilder è proprio quella di giocare con lo smascheramento della realtà, di tradurre il dramma in commedia per farlo (tornare a) diventare ambiguo e sfuggente, di giocare con la maschera prendendosi gioco delle convenzioni.

Il piccolo impiegato C.C. Baxter lavora per una socetà di assicurazioni. È uno tra i tanti e la sequenza iniziale della proliferazione di scrivanie tutte uguali, con impiegati tutti uguali che lavorano a testa bassa, pare una delle migliori sintesi di un capitalismo costruito sulla irriconoscibilità delle fonti di guadagno, su un’etica del lavoro in fondo disturbante. Il suo piccolo, ma accogliente, appartamento diventa la meta preferita dei suoi superiori che hanno necessità di un luogo sicuro per le loro scapatelle galanti. La carriera di Baxter quindi fa progressi immediati. Ma quando Fran, la ragazza dell’ascensore, diventa l’amante del suo capo le cose cambiano, perché Baxter è innamorato di Fran che tenta pure il suicidio a causa delle incomprensioni con il suo amante. Baxter, fino ad allora gentile e remissivo, si trasforma, la sua vita cambia registro e l’happy end sembra mettere le cose a posto.

La rappresentazione del cinismo e della solitudine, dell’arrivismo e del prezzo da pagare sono i temi di un film

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L'appartamento, McLaine e Lemmon complesso e per nulla prevedibile pur nella sua apparente aderenza a modelli conosciuti e collaudati. La coppia di attori che conduce il gioco è di qualità, da una parte il collaudato e quasi alter ego Jack Lemmon, dall’altra la fantasiosa Shirley Mc Lain. Entrambi si ritroveranno in Irma la dolce, altro capolavoro a metà tra il travestitismo e il pregiudizio, una pochade irresistibile dal sapore assolutamente falso.

Qui gli elementi sono invece più concreti e se il realismo dell’impianto si scontra con l’assurdità di alcune soluzioni (la partita a carte del finale per esempio), è perché Wilder gioca da sempre con la realtà trasformandone l’intima sua essenza. In questo gioco tutto sviluppato dentro il meccanismo dello spettacolo hollywoodiano, Wilder, il regista forse tra i più antihollywoodiani di ogni tempo, è riuscito a raccontare il dramma attraverso gli stili della commedia, alleggerendo i meccanismi narrativi e mai i toni della materia. In queste sensibili e segrete alchimie, annegate tra le pieghe del racconto e quindi del tutto assimilate alla struttura dei suoi film, sta la grandezza di Wilder, genio disancorato dalle convenzioni, libero pensatore di un cinema dalle radici antiche e dall’impianto sempre assolutamente moderno.

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