FILM IN TV – L'ululato, di Joe Dante
Uscito all'alba dei meravigliosi anni ottanta, L'ululato segna la restaurazione della licantropia nel cinema di genere. Joe Dante, però, si allontana dalla grande tradizione dell'immagine romantica di Lon Chaney Jr. per mettere in scena una critica feroce alla società mediatica, un mondo moderno non troppo lontano dalla violenta comunità bucolica di lupi mannari.Giovedi 17 aprile, Rai Movie 0re 24.00
Karen White (Dee Wallace), una famosa giornalista d’assalto, è alle prese con l’inchiesta che vale tutta una carriera: la diretta della cattura del sadico serial killer che terrorizza la città. Dopo l’omicidio del “mostro”, la donna, traumatizzata dall’evento, viene consigliata dal suo psicologo di riposare in una bucolica comunità agricola, dove potrà con calma superare l’accaduto. Karen, insieme al marito Bill, entrerà cosi in contatto con una terra lontana dai ritmi frenetici della città, un mondo apparentemente insospettabile ma segnato da un’ancestrale maledizione che la precipiterà ancora di più nell’Orrore. Uscito all’alba dei “meravigliosi” anni ottanta, L’ululato segna la resurrezione e la restaurazione della licantropia nel grande cinema del genere. Pur mantenendo contatti con la grande tradizione (tanti i riferimenti al classico L’uomo lupo, uno su tutti la citazione del regista George Waggner), il film distrugge l’immagine dolente e romantica del maledetto Lon Chaney Jr., per mostrare il lato violento e bestiale di un branco/società. Joe Dante, allievo della scuola Roger Corman, decide quindi di portare la lenta e inesorabile discesa agli inferi di Karen (raccontata con sapiente tensione) fino a un’esplosione violenta di splatter, in un finale senza esclusione di colpi. Il regista, però, non si limita solo al semplice e divertito compitino horror. La sua riflessione si muove su più direzioni, arrivando a mettere in scena una feroce critica alla società mediatica, allora, ai suoi albori. Il prologo sulla caccia al killer e il leggendario finale, infatti, sono la cornice di una storia che racconta molto di più che una nera favola per non dormire. La comunità di licantropi raccontata da Dante non è troppo lontana dalla grande metropoli dove regna la mercificazione della paura, dove la finale epifania del male è recepita, da un pubblico ottusamente insensibile, come l’ennesima divertente trovata pubblicitaria. La parabola di Joe Dante, dunque, non è troppo lontana da quella del collega John Landis, autore del successivo Un lupo mannaro americano a Londra. Entrambi, infatti, oltre a condividere il primato per la trasformazione in lupo mannaro in diretta (divertente la storia del “caso Rick Baker”) usano la metafora della licantropia per arrivare, da posizioni diverse (uno più concentrato sull’elemento thriller, l’altro generoso nell’arricchire il lato ironico della sua vicenda) alle stesse conclusioni: alla fine tra l’uomo moderno e il mostro arcaico, chi è la vera creatura immonda?