L’uomo di paglia, di Pietro Germi

Un melodramma operaio all’antica ma che oggi risulta modernissimo nel modo in cui mostra il dissidio che si trova a vivere il protagonista, interpretato dallo stesso regista

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Siamo gli uomini vuoti
Siamo gli uomini impagliati
Che appoggiano l’un l’altro
La testa piena di paglia…
T.S. Eliot

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Siamo alle solite con Pietro Germi, da una parte il suo spirito ostinatamente controcorrente, per dirla con un altro genovese doc, in direzione ostinata e contraria e dall’altra l’apparato della critica militante che disapprovava, pur senza enfasi, ma con sottile e defilato atteggiamento. Poi, però, il cinema del controverso genovese mieteva successi a Mosca e Leningrado e così la critica ufficiale riguardava le proprie posizioni e rivedeva a volte i giudizi, riconoscendo l’autentico spirito socialdemocratico di Germi.
Per quali ragioni il cinema di Germi ha sollevato tali e tante critiche e non venne mai pienamente apprezzato pur costituendo forse l’evento cinematografico più interessante dopo il neorealismo che era sicuramente stato il suo brodo di coltura? Perché non era allineato né con la Chiesa cattolica, ma non rispondeva neppure ai criteri della dominante analisi sociale in chiave antiborghese dell’epoca. La libertà artistica e politica portava Germi a costruire le sue storie nel sorgere di modificazioni sociali viventi. La sua grandissima e invidiabile capacità di osservazione rifuggiva da ogni pensiero che riteneva di cristallizzare, come in un museo polveroso i modelli perfino pre/concettuali di classe sociale. È proprio questo film forse il paradigma di questa visione realmente sociale di Germi che si contrapponeva ad un residuo e malinteso modello critico che pretendeva, librescamente, di ridurre la classe e la famiglia operaia solo ad una fucina di idee innovatrici nel campo sociale con le donne vicine agli uomini combattenti. La critica maggiore che venne mossa al film fu per l’appunto quella di avere introdotto, in un ambiente sociale come quello descritto nel film –

L'uomo di paglia

il protagonista è un operaio che vive modestamente del suo lavoro – i sentimenti, perfino il tradimento, l’adulterio! Roba da ricchi insomma, questioni che andavano lasciate ai drammi borghesi, quasi che un operaio dovesse occuparsi soltanto di lotta di classe e questioni politiche. Germi salta queste complicate e inutili riflessioni e fa irruzione con il suo cinema rompendo tradizioni e previsioni, costruisce un melodramma operaio (se proprio vogliamo) introducendo i sentimenti nella classe popolare e accorgendosi che quella classe stava compiendo, proprio in quegli anni un salto affrancandosi dalla cultura in cui era stata relegata per confluire dentro una media borghesia con i valori precedenti e l’occhio e il pensiero rivolto al futuro. Il cinema di Germi si è fatto interprete proprio di questa trasformazione ed è per questo che lo sentiamo così moderno nei suoi assunti pur essendo la sua opera (soprattutto quella al quale questo film appartiene) ormai lontana nel tempo.
La storia di Andrea (lo stesso regista) che si innamora della sua vicina di casa (Franca Bettoja) durante l’assenza estiva della moglie è naturale materia per una gradevole commedia di costume (Billy Wilder) o per un melodramma borghese di sanguigna consistenza. Nelle mani di Germi il film si trasforma in una meditata riflessione sul personaggio e sul senso che l’evento produce all’interno della famiglia. Il cinema di Germi si fa qui davvero potente nel raccontare il dissidio del suo personaggio stretto tra una tradizione e i retaggi che lo relegano all’interno della famiglia e il desiderio di vivere la nuova storia d’amore. È per questa ragione che la tensione del melodramma deve irrompere impetuosa con la bellezza di alcune sequenze come quella, carica di drammatica e colpevole solitudine del capodanno in mezzo ai fuochi dei festeggiamenti.

L'uomo di paglia, Germi e Bettoja

Già con il suo film precedente Il ferroviere la sua riflessione sull’unità familiare aveva approdato a risultati drammatici ed era servito il sacrificio del suo protagonista (un altro personaggio con il nome Andrea, il che suggerisce una certa continuità tra le due opere) affinché si potesse consolidare di nuovo quella solidarietà perduta. Se questi erano gli approcci e le soluzioni era del tutto evidente che quell’unità familiare non poteva andare avanti a colpi di scomparse di personaggi attorno alla cui tragedia trovare una quanto mai fittizia unità. Con questo film Germi fa un passo avanti e sperimenta una sorta di fine di prove del teatro (per dirla con Giudici altro ligure silente osservatore del mondo). L’uomo di paglia sembra volere rompere definitivamente quel velo di ipocrisia che si stende sulla famiglia delle classi sociali inferiori soprattutto e così la storia d’amore clandestino tra Andrea e Rita sembra bruciare letteralmente i loro corpi e sicuramente sbriciola principi personali e di classe, conducendo il personaggio di Andrea verso la sicura perdizione, come ad un operaio non sarebbe mai potuto accadere e quando Rita compirà il gesto estremo di un suicidio annunciato il ritorno in famiglia di Andrea acquisterà un sapore differente. Qualcosa è irrimediabilmente mutato, questa volta il sacrificio non ricompone la solidarietà familiare, la trasforma per sempre in un’altra e più instabile forma.

 

Regia: Pietro Germi
Interpreti: Pietro Germi, Franca Bettoja, Luisa della Noce, Edoardo Nevola, Saro Urzì
Durata: 120′
Origine: Italia 1958
Genere: drammatico

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.5

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
3 (2 voti)
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