Point Break – Punto di rottura, di Kathryn Bigelow

Il grande film della Bigelow è la rappresentazione crudele della negazione del desiderio con la creazione di simulacri feticcio che mostrano la loro fragile illusorietà.

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Sogno e realtà americana nel cinema di Hollywood all’alba degli anni 90: Point Break evidenzia la crisi di identità dell’eroe classico di fronte alla impraticabilità dei suoi più intimi desideri. Pur partendo da un modello archetipico (Big Wednesday di John Milius omaggiato dalla presenza di Gary Busey-Angelo Pappas), Kathryn Bigelow fa incontrare due diverse filosofie di vita (quella strutturata nel sistema dell’agente FBI Johnny Utah-Kenau Reeves e quella “sovversiva” del ladro filosofo Bodhi-Patrick Swayze) e le fa sgretolare entrambe sin dai titoli di testa con un processo di depersonalizzazione a montaggio alternato. Aria acqua fuoco terra (sabbia contaminata che diventa prova indiziaria): i quattro elementi ruotano attorno ai duellanti (il film di Ridley Scott del 1977 rappresenta più di una fonte di ispirazione per la fascinazione seduttiva reciproca) in una sfida infinita che è un tentativo inconscio di superare i limiti naturali. Sfidare le onde altissime e dominarle, gettarsi dall’aeroplano e combattere con la forza di gravità, cercare di modellare il fuoco senza bruciarsi, tracciare sulla terra un solco estremo per completare una impossibile meta. Johnny Utah quarterback dell’Ohio viene fermato nella sua carriera sportiva da un incidente di gioco: il ginocchio cede nuovamente durante un inseguimento mozzafiato girato in vertiginosa soggettiva preludio alla fuga di morte di Strange Days.

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Ad una realtà ontologica che rimanda fedelmente alle forme del cinema classico americano, Kathryn Bigelow inserisce parallelamente un sottotesto epistemiologico che rimanda a una diversa interpretazione della realtà oggettiva celebrando la liturgia di uno stallo psicologico autocastrante, vera e propria requiem per il maschio americano. Il machismo si polverizza di fronte alla incapacità di verbalizzare una emozione, di comunicare il proprio disagio. Che è anche il disagio di un Paese che ha perso le coordinate della propria ricostruzione dopo il crollo del “think pink” reaganiano degli anni 80 e che produrrà di lì a poco altre pellicola sul funerale dell’immaginario maschile: Heat di Michael Mann (1995), Fratelli di Abel Ferrara (1996), Fight Club di David Fincher (1999). Il personaggio che fa da detonatore alle ansie e all’insicurezze dei due protagonisti è quello della giovane Tyler che mostra una personalità ambivalente sospesa tra sensibilità femminile e rudezza androgina. Tyler ama il lato fragile di Bodhi e di Johnny ma rinfaccia loro il continuo immaturo mentirsi, sostituendo con una pistola, una tavola da surf o un pallone da football il grande rimosso, l’intimo segreto che non osa rivelare il suo nome. Ad un livello più profondo di lettura, Point Break non è che la messa in scena di un amore omosessuale latente che trova la sua realizzazione in una attrazione-repulsione immediata, prepotente, strabordante. Viene freudianamente rimossa e trasformata in energia violenta, in scontro fisico, in tiro al bersaglio (la sagoma contro cui spara Johnny è quella di una donna!), in glutei mostrati alla telecamera o al mare in maniera irriverente (ma perturbante), in sex cream dagli usi non convenzionali, in pulsione di morte a 1000 metri d’altezza o cavalcando un’onda impossibile.

Point Break è la rappresentazione crudele della negazione del desiderio con la creazione di simulacri feticcio che mostrano con l’andare del tempo tutta la loro fragile illusorietà. Johnny e Bodhi rimangono fondamentalmente due infelici e continuano ad indossare una maschera di convenienza (quella del paladino della giustizia, del filosofo buddista, del falso macho): una volta in famiglia, poi al lavoro e ancora con la propria donna e i propri amici. Sempre a bleffare, fingere, mentire. Si raggiungono in capo al mondo per dimostrarsi di essere sempre più soli: un poliziotto che capisce di non amare il suo mestiere e un rapinatore di banche che cerca l’onda perfetta per sparire nel nulla.

Titolo originale: id.
Regia: Kathryn Bigelow
Interpreti: Patrick Swayze, Keanu Reeves, Gary Busey, Lori Petty, John McGinley
Durata: 110′
Origine: USA, 1991
Genere: azione

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.2

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4 (4 voti)
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