Robin e Marian, di Richard Lester

Una riflessione nostalgica sul passato, con un Robin Hood autentico spogliato della sua aura mitica. Toccante l’interpretazione della Hepburn. Sabato 24 dicembre, Sky Cinema Classics, ore 21

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– Marian che cosa ci fai con quel costume?
– Ci vivo dentro!

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Delle mele mature, pronte per essere addentate, lasciano il posto a mele bacate. Un’immagine dal gusto quasi caravaggesco che traduce una dichiarazione d’intenti forte ed esplicita. Da una parte essa simboleggia il trascorrere del Tempo, duplice nella sua forma: quello del racconto, quindi un tempo di finzione; e quello della realtà, del cinema come sguardo sul reale. Dall’altra, e ne è la diretta conseguenza, essa rappresenta la precisa volontà di riconsegnare allo spettatore un’immagine più autentica spogliata di quell’aura mitica che la figura di Robin Hood ha eretto intorno a sé (da Fairbanks a Errol Flynn, passando per il Todd disneyano). Lester, che inizialmente aveva scelto come titolo La morte di Robin Hood (quale modo migliore per restituire al mito la sua dimensione umana), decide quindi di ritrarre un Robin di ritorno dalle crociate, nel pieno della sua maturità; un uomo certo invecchiato nell’aspetto e non più tanto agile, eppure immutato nello spirito, sempre fiero e combattente, che ancora una volta dovrà vedersela con il suo acerrimo rivale, lo sceriffo di Nottingham, in uno scontro faccia a faccia definitivo per entrambi. Lester però non è interessato alla spettacolarizzazione, l’azione e l’avventura restano al margine: le gesta eroiche di Robin, vere o presunte tali, echeggiano solo nei canti popolari o nei ricordi di chi ha vissuto quel periodo. La sua è più una riflessione a sprazzi nostalgica sul passato, su come il destino prenda strade a volte inaspettate e sulla necessità di accettare i cambiamenti.

Questo decentramento è ben visibile già dal titolo, che affianca al personaggio di Robin quello complementare di Marian. In realtà è lei il nucleo narrativo-emotivo della storia, è lei a muovere i fili del destino e a decidere

audrey come e quando scrivere la parola fine in calce alla loro parabola d’amore. Audrey Hepburn, che era stata lontana dagli schermi per quasi dieci anni, torna a vestire i panni di una suora (nel 1959 aveva recitato in Storia di una monaca di Zinnemann); il suo volto, luminoso e dai tratti delicati, viene messo in primo piano dal velo che ne incornicia quella bellezza eterna esaltando uno sguardo traboccante d’amore. Il suo è un sentimento terreno prima che spirituale, un sentimento che trascende ogni forma di bene per qualsiasi creatura, vivente o inanimata (il meraviglioso monologo finale), e che la condurrà a compiere un atto solo apparentemente tragico. Lester comunque non rinuncia all’ironia (era un elemento dominante nel buffo e originale Dolci vizi al foro o, per restare in tema, nei Tre moschettieri) ed evita di inciampare in un dramma melenso affidando al volutamente goffo Sean Connery i momenti più divertenti e scanzonati.

E soprattutto, ciò che non ne fa un’opera di genere è lo sforzo da parte del regista e dello ROBINAND-SPTI-08.tifsceneggiatore James Goldman di non ridurre a semplici macchiette i personaggi, che vengono caricati di una complessità più naturalistica: pensiamo a re Riccardo (Richard Harris), soprannominato Cuor di Leone, che non si fa problemi a uccidere vecchi e bambini per un pezzo d’oro; o al fascinoso sceriffo di Nottingham, interpretato da Robert Shaw, che conserva fino alla fine una sua dignità arrivando addirittura a suscitare compassione.
Del resto, nel peso e nella fatica che lui e Robin mostrano sollevando le armi per sfidarsi si avverte tutta la profondità del cinema di Lester che prende direzioni improvvise, mai certe, come l’ultima freccia scoccata da Robin che si perde nel blu infinito del cielo.

Titolo originale: Robin and Marian
Regia: Richard Lester
Interpreti: Sean Connery, Audrey Hepburn, Robert Shaw, Richard Harris, Nicol Williamson
Origine: Regno Unito, USA 1976
Durata: 106’
Genere: avventura, drammatico, sentimentale

 

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