Tootsie, di Sidney Pollack

Attraverso New York il cineasta statunitense costruisce la sua personale architettura, i suoi sogni. Una commedia grandiosa che regge benissimo al tempo. Attori perfetti con in testa Dustin Hoffman

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Siamo a New York, negli anni ’80. I marciapiedi della metropoli dalle infinite possibilità e dalle innumerevoli facce, gli stessi che ai giorni nostri ospitano i personaggi di serie televisive cult come CSI e l’ormai già (tra)passato sul grande schermo Sex and the City, vengono ripetutamente inquadrati dall’occhio di Pollack, in un continuo gioco di rimandi tra realtà e finzione, essenza interiore ed immagine esteriore, cinema e televisione. Protagonista della commedia degli equivoci Tootsie (Oscar come attrice non protagonista a Jessica Lange nel 1982), è il Michael Dorsey interpretato da Dustin Hoffman che si trasforma nell’attrice di soap Dorothy Michaels per adeguarsi alle esigenze del mondo dello spettacolo. Lo sa bene George Fields, l’agente di Dorsey interpretato dallo stesso Sidney Pollack, che è al contempo regista e attore, mente ordinatrice e spettatore, simbolo dello show business e rappresentante di una mentalità trasformista, assoggettata alle regole del successo.

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Ed è proprio il trasformismo inteso come travestimento ad essere al centro di una delle opere forse più conosciute del cineasta, a diventare icona di un preciso momento storico della storia americana, descritto con elegante humour e un senso della misura davvero unici. Si recita fin dalla prima scena, ci si traveste fin dai primi minuti, diventando questo o quel personaggio, con i baffi, senza baffi, più basso, più alto, più femminile, secondo un gioco delle parti (non mancano gli specchi) che non risparmia nessuno, dal palco di un teatro alle luci della ribalta della soap più acclamata del momento (continui sono i riferimenti alla “forma”, con il regista della serie televisiva che decide di quale inquadratura servirsi dall’altra parte del vetro/schermo) fino a conquistare la copertina della rivista più celebre accanto ad Andy Warhol e sullo sfondo la bandiera degli Stati Uniti d’America.

Alla fine risulta quasi impossibile distinguere l’attore dal personaggio, la storia dal mito, essendo l’uno il riflesso dell’altro, l’uno l’altra faccia dell’altro, secondo un meccanismo di scatole cinesi che sembrano contenerne sempre una in più. Funziona allo stesso modo tra cinema e televisione, che tra loro si compenetrano, si sovrappongono, si confondono. Succede così alle storie, generate l’una dall’altra, fino al momento dello smascheramento in cui tutte convergono, risolte nell’attimo in cui ci si sfila la parrucca e l’identità si svela per quello che è, immagine costruita per l’occasione. Rimane intatta e ben definita la cornice, quella di una New York indaffarata, quella della Storia dei primi anni ’80 appunto, che non è mai solo scenografica, ma protagonista indiscussa della pellicola, punto di riferimento stabile per i personaggi che in essa circolano, che la attraversano, correndo di qua e di là, passeggiando di notte alla fine di una giornata di lavoro, che da essa si allontanano a bordo di un treno, ma solo per poterci tornare. Tracce visive che Pollack disegna dentro e fuori New York, costruendo così la sua personale architettura, i suoi sogni. Tracce che oggi, finito il percorso cinematografico del regista in questa vita, possono essere riconosciute attraverso le immagini diffuse da un televisore, tracce che vanno seguite, per ricostruire l’immaginario sconfinato di uomo ormai senza tempo.

Titolo originale: id.
Regia: Sidney Pollack
Interpreti: Dustin Hoffman, Jessica Lange, Teri Garr, Sydney Pollack, Bill Murray, Dabney Co
leman, Charles Durning, Geena Davis
Durata: 116’
Origine: USA 1982
Genere: commedia

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.5

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4.67 (3 voti)
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