FILM IN TV – Tre fratelli, di Francesco Rosi

Si inserisce nel dibattito politico dell’epoca. Rosi spiega e illustra, ma tutto appare piuttosto superficiale nei meandri di un perbenismo inutile e diffuso. Martedì 21 ore 23.10 Rai Movie

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Che la Puglia sia luogo di ricongiunzioni tra fratelli, dopo il film di Rosi ce lo avrebbe confermato, con ben altri intenti Sergio Rubini nel 2006, con La terra. La casualità serve però a dimostrare che è nelle corde degli autori meridionali l’idea propria del ritorno alla terra natia dopo la diaspora dell’emigrazione. Nella sottotraccia di questo film sincero, ma profondamente mancato, anche questo sentimento che resta il filo rosso che lega il cinema che da Napoli in giù riproduce un certo disagio tutto meridionale, incallito e non eludibile, almeno fino al cinema di Massimo Troisi, autore che ha saputo, pur nella brevità della sua parabola artistica, lasciare un segno netto e preciso sul tema.
Per a pieno comprendere l’operazione che Francesco Rosi ha realizzato con Tre fratelliTre fratelli, F. Rosi (1981) è necessario contestualizzare il film dentro quel tempo confuso e inquieto che era l’Italia dei primi anni ’80. Una onesta riflessione su questo film, che difetta e sconcerta in molti passaggi, non può però prescindere da questa valutazione preliminare che d’altra parte gli appartiene geneticamente, costituendone colonna sonora storica continua. Questa caratteristica, inevitabilmente, lo allontana da ogni altra contemporaneità relegandolo ad un tempo preciso e ad una sua datazione al di fuori della quale sembra perdere di vista ogni presa sul reale che invece vuole avere, tanto da diventare, proprio quella realtà contingente, motore primario della sua realizzazione.
Raffaele (Philippe Noiret), Rocco (Vittorio Mezzogiorno) e Nicola (Michele Placido) Giuranna sono i tre fratelli che tornano nel loro paese della Puglia alla morte della madre. Ciascuno porta le angosce del proprio lavoro. Raffaele da magistrato vive la paura del terrorismo, Rocco da educatore in un istituto per minorenni a rischio, l’ansia di salvare dal carcere i suoi adolescenti e Nicola, operaio sindacalizzato e “modernamente” separato dalla moglie, prova a dimostrare che la difesa del lavoro e dei diritti connessi può avvenire anche senza il terrorismo, seppure con una tutela che faccia ricorso ad atti in cui resta insita una dose di violenza.

Tre fratelli, Noiret e PlacidoIl film, indubbiamente, si inserisce nel dibattito politico dell’epoca, in quella urgenza, tutta appartenente alla sinistra, di isolare quel terrorismo invadente e ossessivo che quotidianamente occupava le pagine dei giornali con gambizzazioni e omicidi con i quali si volevano scardinare le basi democratiche dello Stato in nome di una rivolta di popolo che in effetti non esisteva, almeno in quelle forme.
Così Rosi, da regista civilmente impegnato, anzi da antesignano dell’impegno civile al cinema (da Mani sulla città a Cadaveri eccellenti), abbandonando lo sguardo di largo respiro che i suoi film precedenti ci avevano proposto, si rivolge questa volta al minimale, planando sulle microstorie di questi tre personaggi, quali figure rappresentative di precise tipologie di italiani che intervengono, con la loro testimonianza quotidiana, nel dibattito politico conseguente agli eventi storici che il Paese attraversava.
Rosi con la complicità di Tonino Guerra, con cui ha scritto la sceneggiatura, spiega, illustra le posizioni, prova a fare chiarezza con la dialettica argomentata del magistrato, quella più pragmatica dell’operaio e quella più incerta dell’educatore. Ma purtroppo tutto appare giustapposto, piuttosto superficiale e purtroppo già sentito nei Tre fratelli, 1981meandri di un perbenismo inutile e diffuso. Tutto il film sembra creato e scritto per diventare oggetto di dibattito e questa deviazione patologica che avviene nel cinema di impegno civile di Rosi trae di certo le sue origini dalla stessa confusione che regnava all’epoca nella militanza intellettuale della sinistra, tutta volta a distanziare il proprio pensiero da ogni possibile confusione con le frange estreme di una intellighenzia che manifestava sui libri una certa solidarietà con le pratiche violente di sovvertimento di una democrazia stentata e diseguale. Da qui quella urgenza di segnare la differenza con l’ideologia più oltranzista. Ma il rischio e Rosi lo dimostra nei suoi dialoghi, diventava l’incapacità a distinguere, pur all’interno della confusione che il clima terroristico aveva creato, i veri valori di una tradizione antica che non potevano essere scalfiti dalla coloritura politica, di presunta uguale matrice, delle idee delle formazioni terroristiche che imperversavano.
Tre fratelli, VanelRosi a tratti sembra volere sfuggire, nonostante tutto a questo dibattito, rifugiandosi nel solito eden del passato: la campagna e i valori contadini, la bellezza dei luoghi contrapposta alla furia delle città e negli incubi dei protagonisti la loro paura e le loro speranze. Nell’incubo di Raffaele un giovanissimo Sergio Castellitto impersona il terrorista che ne rivendica l’omicidio in nome del popolo.
Tre fratelli, diceva bene il compianto Sandro Zambetti (Cineforum 204, maggio 1981), sembra “tirare fuori una tavola rotondae i suoi protagonisti sembrano i partecipanti del dibattito. Al termine si esce incerti sul da farsi, insicuri sull’agire e certi soltanto della sincerità dell’autore che però costella il suo film di altre mini discussioni sul tema, permeando la storia di questa matrice fortemente assorbente, escludendo ogni altra Tre fratelliriflessione di più originale fattura, magari controcorrente, come il suo cinema era riuscito a fare in precedenza. Tre fratelli riassume questa confusione, traduce un generico buonsenso dentro la barbarie quotidiana che occupava le cronache, senza aggiungere nulla di particolarmente rilevante al dibattito. Con altra lucidità Amelio, qualche anno dopo, con un’ottica apparentemente simile perché anche quella privata, avrebbe proposto una prospettiva ben più originale rispetto al tema, distante da ogni refrain da luogo comune, assumendosi il rischio di una possibile scomunica a sinistra. Ancora molti anni dopo, a mente fredda, Bellocchio avrebbe aperto una porta sulla storia, con un il cuore e il rimpianto per ciò che non sarebbe più potuto accadere.

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Regia: Francesco Rosi
Interpreti: Philippe Noiret, Vittorio Mezzogiorno, Michele Placido, Charles Vanel, Andrea Ferréol, Maddalena Crippa.
Durata: 106’

Origine: Italia/Francia, 1981

 

Martedì 21 giugno, ore 23.10. Rai Movie

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