Un borghese piccolo piccolo, di Mario Monicelli

Con lungimirante tempismo, coglie i segni dei mutamenti e dirige un film ammantato di profondo pessimismo che annichilisce ogni residua razionalità. Mercoledì 1° giugno, ore 18.55, Sky Classics

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Tutto quello che vogliamo è morire in pace, con la coscienza a posto.
Dai dialoghi del film

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Se la parola “speranza” era forse quella più invisa a Mario Monicelli questo film del 1977 dà conferma di un pessimismo inguaribile e di incompresa lungimiranza. Con Un borghese piccolo piccolo, Monicelli abbandona la commedia, dedicandosi al racconto tinto di nero, scettico e disincantato. Un borghese piccolo piccolo dal romanzo di Vincenzo Cerami, è un racconto ammantato di una assoluta sfiducia sul possibile progresso della coscienza cosiddetta civile e contemporaneamente (ma altrettanto ovviamente) un racconto che getta una luce sinistra sulla meschinità di un Paese che sembra avere perduto ogni sentimento collettivo in favore di un individualismo mediocre che dovrà solo assicurare il sufficiente per vivere.
Le speranze di Giovanni Vivaldi (Alberto Sordi), travet ministeriale, e della moglie Amalia (Shelley Winters) sono riposte nel giovane figlio Mario (Vincenzo Crocitti) che deve concorrere per un posto di impiegato del Ministero. Giovanni si affiderà ad ogni consorteria per fare ottenere il posto al figlio Il giorno del concorso un incidente cambierà la vita di Giovanni e spezzerà quella di Mario.

un borghese piccolo piccolo, Monicelli
Giovanni Vivaldi è un ordinario uomo senza qualità che ritrova e riscopre una violenza sopita, segno di una profonda disistima nei confronti di ogni diversità e di sicuro difensore di una legge personale che sovrasta e precede ogni ordine costituito. Non crede nel proprio Paese, il Paese non si accorge di lui e lui si arrangia, galleggiando a fatica nel perverso e burrascoso mare di una società fondata sulle leve di un potere di cui non è titolare e che neppure è capace di raggiungere, che guarda da lontano ammirando quella capacità di farsi avanti nella vita, ma senza avere il coraggio di fare nulla, dicendo di si con gli occhi e di no con la testa. Giovanni Vivaldi è un piccolo qualunquista, che vuole “morire in pace, con al coscienza a posto”. Monicelli non ha pietà e costruisce un meccanismo da contrappasso dantesco che a tutto porterà, tranne che, sicuramente, a fare morire in pace il povero Giovanni Vivaldi.
Il film ha (forse) il torto di essere un film a tesi, stemperato da un clima claustrofobico e di morbosa malattia sociale che si avverte tra le pieghe di una ritualità facile e insistita, tra i gesti e i silenzi di una verità taciuta, ma a tutti nota.
In questa sorda drammaticità, in cui si consuma la tragedia della famiglia Vivaldi e quella del giovane delinquente (Renzo Carboni) a sua volta vittima della furia insaziabile e vendicativa di Un borghese piccolo piccolo, 1977Giovanni che da debole trova la forza della spietata tortura, Un borghese piccolo piccolo non solo diviene un punto di svolta per il cinema di Monicelli, ma ci fa scoprire il lato drammatico e il volto oscuro di Alberto Sordi, naturale maschera, con rughe e baffi impiegatizi, di un genere diffuso nel nostro Paese, piccolo genio di un arrivismo casalingo, maestro del “quieto vivere” e del “vivi e lascia vivere”. Ma la violenza sopita dopo anni di quotidiani piccoli soprusi, sorde umiliazioni, non viste, ma intuite, si scatena sul corpo del malvivente. È così che Giovanni diviene un giustiziere e lo capiremo nel finale che riapre la partita ingaggiata “con il nemico”. L’occhio cadrà ancora su un personaggio pasoliniano come Ettore Garofolo. Monicelli segna, il definitivo mutamento di prospettiva e, ancora una volta, il suo pessimismo sotterra un’epoca e un’interpretazione dei fenomeni sociali, a vantaggio di una sbrigativa e individuale soluzione. E si era soltanto nel 1977.
Il farsi giustizia da se è per Giovanni Vivaldi una rivincita con cui intende difendere la sua vita “tranquilla” in un appartamento “tre stanze, cucina e bagno”. Un film segnato dalle scelte politiche del suo autore che sembrano sintetizzate nell’accennato inchino, che sa di deferenza obbligatoria, nel manifesto che ritrae il suo protagonista in quella posa. Monicelli in un Un borghese piccolo piccolo, Sordi e Crocittivolume di Stefano Della Casa, confessava che i suoi film avevano sempre un risvolto politico e Un borghese piccolo piccolo è quello che maggiormente riafferma questa evidente verità. Il racconto annichilisce ogni razionalità trapiantando nel mite Sordi il seme di una violenza cieca, immune da ogni lusinga sociologica, manifestando quella radicalità che ha sempre praticato nei commenti critici alla società italiana e che oggi troverebbe ancora maggiori argomenti e angolazioni tra le pieghe di una cronaca sempre più incalzante in cui il raziocinio è privato di ogni possibile residua speranza.
La profondissima critica ad una minuscola piccola borghesia, ma più in generale all’intera collettività italiana, arrivista e asservita ad un potere quasi invisibile, chiude l’epoca dell’amara commedia monicelliana per aprire una nuova fase del suo cinema, ma si era nella piena turbolenza di una tempesta che doveva ancora arrivare, l’atto di accusa di Monicelli non solo è lungimirante, ma impressionante nel suo tempismo.

 

Titolo: Idem

Regia: Mario Monicelli

Interpreti: Alberto Sordi, Shelley Winters, Vincenzo Crocitti, Romolo Valli.

Origine: Italia, 1977

Durata: 118′

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