Fuori palinsesto. Intervista a enrico ghezzi

Un’anticipazione dall’imminente prossimo Sentieri Selvaggi Magazine, uno stralcio della chiacchierata tra l’autore di Fuori Orario e Simone Emiliani. La versione integrale presto sul numero 29

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Abbiamo incontrato enrico ghezzi questa estate. Per parlare di Fuori Orario. Ma poi è diventata una conversazione-fiume. Forse ininterrotta, che non finirà mai, per il prossimo, imminente numero di Sentieri Selvaggi Magazine. Eccone giusto un assaggio, la versione integrale sul numero 29:

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Cosa sta succedendo a Fuori Orario?
La questione è molto paradossale. Nel senso che la direzione di rete dice di apprezzare Blob e Fuori Orario. Blob si è salvato dalle cose che ora racconterò, perché comunque è radicato nell’ascolto e ha una certa capacità di produzione anche variabile. Alcune delle cose che si sono viste in estate le può fare solo Blob. Per il nostro archivio vivente e per la velocità di realizzazione. Invece credo che Fuori Orario sia rimasto nudo. Non credo che stiamo in braccio a qualcuno. Che è comunque quello che abbiamo sempre fatto. Però, fino a all’epoca di Vianello, sostanzialmente due anni fa, c’è stato un grande rispetto per Fuori Orario; ho sempre temuto negli anni che arrivasse un direttore di rete con delle pretese, però non è stato così, oppure qualche buontempone – non direttore di rete – che chiedesse: “Perché non fate una cosa un po’ più moderna con le scritte dei titoli diversi, una bella sigla (che peraltro già avevamo)”? Questo per dire di una mancanza, non di rispetto di cui non me ne frega nulla. Il rispetto ci arriva dall’estero. Siamo stati citati, due o tre anni fa, dalla ministra francese dell’Istruzione – me lo segnalò Garrel – che disse che in Italia c’era questo programma strano che aveva inventato un nuovo modo di usare il repertorio dei film. Ho cominciato a parlare dell’estero. Perché in Italia Fuori Orario sembra
una cosa antidiluviana anche per ciò che mandiamo in onda. Per il modo di mandare in onda che è molto rispettoso dei titoli e di qualunque cosa. Per la fatica di fare i sottotitoli, ad esempio, dei film di Lav Diaz…

Piangere ora su Fuori Orario non ha senso. Nel senso che vive in una logica di non asservimento che è incomprensibile per gran parte delle persone. Non solo in rete. Cioè, posso immaginare una riunione del c.d.a. Forse qualcuno che possa capire cos’è la nostra trasmissione si trova. Ma per il resto è come se non esistessimo. Il programma è stato ridotto a tre giorni (venerdì, sabato e domenica) e poi subisce continui sbalzi di orario. Quindi si comincia di solito alle due e mezza/tre anche se siamo annunciati prima. Poi quando c’è un avvenimento di grande impatto, Rai1 e Rai2 restano più o meno uguali nel loro palinsesto. Noi invece veniamo immediatamente tolti. E al posto di Fuori Orario va un’accozzaglia che è poi identica a Rai1, Rai2, Rai notte. È stato veramente un accanimento. Abbiamo superato la morte del papa e poi tutta una serie di avvenimenti in serie. Di guerra, il Medio Oriente. Il programma veniva cancellato perché c’era l’urgenza delle news. Non era un errore. Proprio un accanimento. Comunque, i lamenti finiscono qua. Tre anni fa, dopo un anno e mezzo di lavoro per i contatti con i distributori e gli autori – dopo un anno che ci hanno fatto slittare gli acquisti – praticamente ci hanno detto: “Fate con quello che avete!”. “Cosa vuol dire?” ho detto. E mi hanno fatto vedere un armadio pieno di incartamenti vari, tra i quali il nostro, dove c’erano cento lungometraggi e una ventina di corti. Con tutto Pollet, molte cose belle e diverse prime visioni tv. E alla fine, senza tante cerimonie, uno mi ha detto: “Ma perché non lo fai tu un film?”. E io: “È da vedere se non sia già questo un film”. Praticamente ci hanno tenuti fermi per due anni e mezzo. Con gente che telefonava. La  Cineteca di Pordenone che si era indebitata. Abbiamo preso Too Much Johnson (quello che era considerato il film perduto di Orson Welles) e lo abbiamo usato per la prima volta due anni fa. In realtà si è

16 “liberato” adesso. Perché siamo riusciti a farlo comprare. E poi c’erano anche cose wellesiane “piccole”. È come se fossimo autoalimentati. Abbiamo fatto delle operazioni, soprattutto con Ciro Giorgini ma non solo, di scandaglio del fondo di immagini che è la Rai. Con film, che hanno solo loro (es. Matarazzo), non dico da collezione ma quasi. Però questo avveniva senza un flusso di acquisti. Che sembra enorme ma in realtà non è affatto ingente. E da un certo punto di vista è incomprensibile con capi e capetti, palinsesti che si mangiano Blob e Fuori Orario. Però non è neanche questa una cosa di cui lamentarsi. Perché se ci fossero dei progetti, delle idee intense, ben vengano. Ma non ci sono. È triste. Perché una cosa è montare da un doppio giacimento, che è quello Rai e quello Rai antico, che si allarga sempre di più perché c’è un sacco di materiale non visto. Con la possibilità di utilizzare i film come repertorio e il repertorio come film. E adesso siamo qui. Lavorando su durate ridotte, con due turni di montaggio in meno che è una cosa pazzesca.

Forse sta cambiando anche la modalità di ricezione. Fuori Orario è nato nel 1988 e gran parte della mia generazione – anche quella prima, quella dopo – si è formata molto anche lì. Forse adesso sta cambiando il modo di cercare il film da parte degli appassionati più giovani. Che non guardano al palinsesto tv. Sanno benissimo da dove scaricare i film. Ma forse non sanno tutto quello che c’è…
Non sanno quello che fanno. Se non glielo dice qualcuno, non vanno certamente a cercare film come L’amante perduta di Jacques Demy. Per averlo dovevamo aspettare sei mesi e mezzo. Nel frattempo riuscii a comprarlo. Anzi, a ricomprarlo, visto che l’avevo già mandato in onda quando ero piccolo, nei primi anni ’80.

In questa fase di Fuori Orario, possono esserci dei nuovi titoli?
La mia ambizione è prendere dei film che non siano “palinsestabili”. Quindi 7/10/12 ore. Quindi, Lav Diaz, Béla Tarr, che indica tra l’altro questo venir meno del desiderio di fare cinema. Che mi sembra anche il meno imitabile ma il più  importante di questi ultimi 15 anni.

ghezzi_sentieriselvaggiOggi è sempre più difficile fare festival e rassegne in Italia. Mi viene invece in mente, anni fa, la grande stagione di Massenzio con Renato Nicolini.
C’era soprattutto Enzo Ungari. Ed era una grande selezione. Che si costruiva da sé. Non lo frequentavo molto ma nello stesso tempo posso dire che era l’unica cosa italiana che è comparabile agli emisferi di Fuori Orario, Taormina e Procida. Ma solo in un paio di edizioni, quelle fatte da Ungari. Un festival che invece mi piaceva come empito corrosivo era invece L’occhio, l’orecchio, la bocca. Quando ero arrivato a Roma, aveva già chiuso. Con Filmstory comunque avevamo fatto una notte insieme. Poi avevamo gli stessi deliri: mandare i film accelerati, cambiare l’audio.

Una conversazione che s’interrompe ma non è finita. Forse non è mai finita. Forse è una prima puntata, un primo episodio di una conversazione ininterrotta.
La sigla è da rifare
. Perché è comunque cambiata la situazione. Anzi hanno trattato bene con la Warner e possiamo usare dei pezzettini brevissimi di musica. Ora vorrei farla fare a Franco Battiato. Sono riuscito a vincere la battaglia della copia di L’Atalante. Che era in Rai. Bellissima. Me l’aveva detto un tecnico e l’ho bloccata prima che la portassero in un campo di sterminio per gli argenti. In 35 mm. Luminosissima. Poi la Gaumont non aveva chiesto nulla.

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