Giovani si diventa, di Noah Baumbach

Un film su cui pesano troppe gabbie concettuali, estetiche, sociologiche e cinematografiche, che Baumbach questa volta fa un po’ fatica a superare. Rimane la sincerità di approccio al cinema però

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Il cinema di Noah Baumbach è sempre il porticciolo sicuro che ti aspetti, situato lì sulle sponde più riconoscibili del fiume Hudson, in una New York alto borghese dove si parla di arte-e-cinema sorseggiando un buon vino bianco. E come al solito il regista newyorkese intasa il suo film di coltissime citazioni letterarie, teatrali, cinefile, segnando una autobiografica condizione di “intellettuale” nei discorsi del suo Josh (Ben Stiller) e della moglie Cornelia (Naomi Watts). Discorsi che spaziano con naturalezza da Ibsen a Godard, da Wiseman a Flaherty, mentre il film fa aleggiare i fantasmi di Fellini e Resnais, Allen e Bergman. Si entra in casa Baumbach, quindi, pochi dubbi. Ma questa volta i personaggi perdono un po’ di sana leggerezza, divisi sin troppo schematicamente tra ventenni ossessionati dal vintage anni ’70/’80 (i vinili e le VHS) e quarantenni nostalgici ma sin troppo innamorati della tecnologia 2.0 (smarthphone e tablet). Il film racconta la quotidianità di questi due coniugi e li immerge nella metropoli contemporanea, vittime di un incontro inaspettato che cambierà le loro esistenze ma li farà anche guardare in faccia. Tutto molto alleniano: Josh è un documentarista che fatica a completare il suo ultimo film, è felice con sua moglie, ma tra loro pesa il non aver potuto concepire figli. L’incontro con i due giovani Jamie (Adam Driver) e Darby (Amanda Seyfried) segnerà l’improvviso ritorno di riti e miti giovanili…ma anche una messa in dubbio profonda della propria etica professionale. L’etica del documentarista: salvaguardare una spontaneità di rapporto con le proprie fonti e mai piegare fatti e rapporti al risultato finale! Cosa che invece lo spregiudicato Jamie si prefigge sempre di fare. Insomma si rimane integri o si scala il successo? Eterno dilemma.

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Ecco. È da queste “classiche” gabbie concettuali, estetiche, sociologiche e necessariamente cinematografiche che Baumbach questa volta fa un po’ fatica a evadere. Si avverte una certa programmaticità nel suo film e quella spontaneità commovente dei ragazzini de Il calamaro e la balena o della recente Frances Ha si perde negli schemi, nei discorsi, nel ping pong narrativo sin troppo “scritto”. Resta qualche scarto, però, a noi spettatori: pian piano, a fine film, l’incontenibile “anarchia” attoriale di Ben Stiller viene finalmente lasciata sfogare, toccando quegli improvvisi squarci di sincera umanità a cui Baumbach ci aveva abituato. È sullo statuto iconico di Stiller, allora, sulla sua endemica e anarchica fanciullezza da eterno Walter Mitty (come già fatto in Greenberg) che Baumbach investe tutto per conquistarci. E allora la cosa da salva(guarda)re, al di là degli evidenti limiti del film, rimane questa anacronistica fiducia nell’approccio diretto al cinema e ai suoi attori: un percorso terapeutico e redentivo delegato al semplice racconto per immagini. Una fiducia certo retrò, forse ancora necessaria, comunque rara.

Titolo originale: While We’re Young
Regia: Noah Baumach
Interpreti: Ben Stiller, Naomi Watts, Amanda Seyfried, Adam Driver, Charles Grodin
Distribuzione: Eagle Pictures
Origine: Usa 2014
Durata: 97′

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