Glass, di M. Night Shyamalan

Shyamalan si mantiene in meraviglioso equilibrio tra storie codificate e improvvisi scarti emotivi, dirigendo un film coraggiosissimo che si nutre solo di sentimenti fanciulli. La trilogia si chiude

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Poco prima del fatidico incontro tra David Dunn/Bruce Willis e Elijah Price/Samuel L. Jackson, nell’ultima sequenza di Unbreakable, c’è un momento illuminante che val la pena di ricordare a 19 anni di distanza. David entra nella Limited Edition (la galleria d’arte di Elijah) e si ferma a guardare una rara rappresentazione del bene e del male che allude all’origine del mondo dei fumetti. La madre di Elijah si avvicina sorridente e gli dice: “Vede gli occhi del cattivo? Mio figlio dice che ci dono due generi di villain: il cattivo-soldato che combatte l’eroe con le sue mani e poi c’è la vera minaccia, l’acerrimo nemico, che combatte l’eroe solo con la sua mente”. Alla fine di Unbreakable, allora, l’invincibile (super)eroe della strada e il suo acerrimo nemico della mente sono stati svelati, si sono riconosciuti reciprocamente e hanno riattivato una (tragica) memoria condivisa in quella stretta di mano rivelatrice. E poi? “Ci sono voluti diciannove anni per trovarti” dice oggi Elijah a Kevin Crumb, il cattivo-soldato, il Braccio guidato dalla Mente che noi spettatori abbiamo conosciuto due anni fa in Split e che ci ha lasciato a bocca aperta scoprendo solo sui titoli di coda la sua parentela con l’universo di Unbreakable. Questo Glass, pertanto, chiuderà l’universo della Limited Edition scritta da Elijah e tenuta pazientemente nascosta nel cassetto dei sogni di Shyamalan?

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E sì… ci sono voluti ben diciannove anni per completare una trilogia già così “evidente” nel finale del primo film. Passando per trionfi di critica e botteghino (Signs e The Village) e cadute rovinose in attesa di rivalutazione (Lady in the Water e L’ultimo dominatore dell’aria). Nel fuori campo di tutti quei film, però, si agitava sempre qualcosa di indefinibile (The Happening) che alludeva alla matrice di questo strutturatissimo universo immaginario. Insomma Shyamalan ci ha sempre creduto e ci crede ancora. Crede che il contatto umano provochi storie fantastiche, visioni inspiegabili e interpretazioni personali che possono stravolgere le trame perfette (della vita e del cinema), ridiscutendo ogni traiettoria attesa (o ogni giudizio critico…) rendendo le persone comuni inaspettatamente “spettacolari”.

David Dunn  – Bruce Willis assume ormai la statura del Lee Marvin di questa generazione nella sua lenta e senile accettazione del destino –  e Kevin Crumb – James McAvoy ripropone le incredibili 24 personalità coalescenti che si sostituiscono a seconda degli stati d’animo – sono finalmente faccia a faccia come in quell’originaria rappresentazione dell’eroe contro il suo villain. Possono finalmente combattere per conto di Elijah – Mister Glass, la mente, Samuel L. Jackson – che li ha scoperti e messi di fronte (al loro destino). Ma se l’orda di Split è ancora fresca nella nostra memoria, la vita dell’unbreakable David è stata un mistero per quasi vent’anni. Lo avevamo lasciato come schizzo in bianco e nero sul giornale del giorno dopo, un identikit misterioso già consegnato al mito di Philadelphia, quindi un’identità nascosta che solo suo figlio Joseph ha sempre (ri)conosciuto. Del resto “bisogna avere sempre nove anni per vedere il mondo così com’è”. Ma rispetto all’anno 2000 (l’alba del nuovo mondo) sono i media ad essere profondamente cambianti: nel 2019 ritroviamo David perennemente ripreso, pedinato, catturato dai video su YouTube che raccolgono immagini rubate dei suoi salvataggi da giustiziere della notte. I nomignoli on line si moltiplicano: “il vigilante” è quello più gettonato. L’eroe ha quindi bisogno di un aiutante, suo figlio, che geolocalizzi i suoi movimenti rendendo ogni atto supereroistico la normalità quotidiana prima di tornare al lavoro nel negozio di famiglia. Insomma dopo The Visit Shyamalan ha contaminato sempre più le sue candide e lugubri favole della buonanotte (intrise di referenze al “nostro” mondo) con il perturbante sguardo dei media digitali che sorvegliano gli umani da un “nuovo universo” con cui fare i conti.

Ed eccoci nuovamente alla Limited Edition (senza svelare troppo di una trama, come sempre, ricchissima di twist narrativi). Lo scontro tra David e Kevin viene subito interrotto dalla polizia guidata dall’onnisciente dottoressa Ellie Staple (Sarah Paulson) che li interna in un ospedale psichiatrico insieme al terzo angolo di questo specchio: Mister Glass. Ed è in queste mura blindate che il film diventa un mastodontico dispositivo intertestuale che spazia dalla nuova serialità ai tradizionali modelli di narrazione: la dottoressa Staple razionalizza, vuole convincere i tre pezzi (o pazzi…) del puzzle che non c’è nessun mistero in quel che credono di essere. Ellie cura chi “crede di vivere nei fumetti”, rendendo ogni specialità (positiva o negativa) giustificabile psicanaliticamente. Quindi smonta pezzo per pezzo la credenza nei fumetti confinandoli in meri prodotti di mercato che non hanno nulla da dire oltre la banale superficie. Sì, ma… per David Dunn salvare la gente non è mai stata una questione di ragionamento razionale, bensì di contatti umani e di visioni inspiegabili che lo guidano da sempre. Per Elijah Price, nato e cresciuto in un corpo fragilissimo lontano dagli altri bambini, la mitologia popolare è stata l’unica dimensione affettiva che ha detto la verità sulla sua condizione. Infine per Kevin Crumb il desiderio di punire chi “non ha mai sofferto” non è solo banale malvagità, bensì brutale e ferita infantilità da proteggere creando la Bestia feroce.

Insomma credere nei fumetti è stato innanzitutto credere in se stessi, perché solo l’universo del fumetto è riuscito a costruire “relazioni” per questi tre esseri umani – rispettivamente con un figlio, una madre e una inaspettata amica che ritornano in questo film a creare magnifici controcampi emotivi. È sempre questione di sentimenti nel cinema di Shyamalan. Un regista ormai talmente consapevole del proprio personale universo simbolico e narrativo da rendere sempre più malleabili e porose le proprie inquadrature che iniziano ad aprirsi a glitch di memoria con materiali d’archivio tratti da Unbreakable e Split,  con i riflessi acquatici delle soggettive di Lady in the Water o con le paure infantili del bosco di Signs, per finire con le evasioni dal controllo sociale di The Village.

Eccoci al punto: Glass corona questa ventennale ricerca dell’umano nelle deviazioni improvvise dai percorsi prestabiliti (le fiabe e le loro funzioni sedimentate dall’immaginario popolare) cercando testardamente la verità solo negli scarti, nei resti, nei vizi di forma che rendono quelle stesse storie così personali e quegli stessi personaggi così “vivi”. E per far ciò Shyamalan rivendica ancora una volta una formidabile gestione cormaniana degli spazi (un’economia del set che le produzioni di Jason Blum hanno di certo assecondato) alludendo a ogni cataclisma possibile del nuovo Superhero Movie, ma negandolo puntualmente nel cataclisma emotivo delle umane rivelazioni.

Fermiamoci qui. Perché “i miei coinquilini vogliono sicurezza”, dice lo stesso regista nel suo solito lucidissimo cameo da attore. Insomma proprio in quest’era Trump popolata da nuovi Muri che provocano ciclici shutdown istituzionali, Glass diventa un film dal potente valore politico: difendere acriticamente il fortino da ogni sacrosanta diversità umana (proprio come tenta di fare la dottoressa Staple anestetizzando ogni differenza) è una semplificazione spazzata via nello scontro più epico degli ultimi anni ambientato paradossalmente in un anonimo parcheggio. Un monumento alle differenze come unico vero serbatoio di storie e miti che continuano a dire la verità anche nel nuovo universo dei media digitali. Shyamalan si mantiene in precario e meraviglioso equilibrio tra tutte queste istanze differenti in un film coraggiosissimo che si nutre senza compromessi di abbracci improvvisi e abbagli arcaici rivoluzionando ancora le vite di ogni personaggio. Un film che non smette (e non smetterà per molto tempo) di meravigliarci proprio perché la trilogia Unbreakable/Split/Glass non è mai stata la perfetta Limited Edition di Elijah Price, bensì l’origine di ogni fanciulla affabulazione di M. Night Shyamalan.

Titolo originale: id.
Regia: M. Night Shyamalan
Interpreti: James McAvoy, Bruce Willis, Anya Taylor-Joy, Samuel L. Jackson, Sarah Paulson, Spencer Treat Clark, Luke Kirby, Charlayne Woodard, Rob Yang
Origine: USA, 2018
Distribuzione: Disney
Durata: 129′

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