Gli #Oscars2017 hanno appena provato che viviamo in una simulazione?

E’ Adam Gopnick del New Yorker a porsi la domanda nel suo articolo “Did the Oscars just prove that we are living in a computer simulation?”. La nostra traduzione dell’affascinante ipotesi…

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La bizzarria della scorsa notte degl’Oscar non è stata solo bizzarra ma bizzarra in una maniera che è tipica di questi tempi del tutto bizzarri. Il ritmo dell’evento sì-hanno vinto-oh-mio-Dio-no-non-hanno-vinto, con “La La Land” sostituito da “Moonlight” come miglior film, è stato stranamente simile alla…Election Day. In primo luogo, un risultato più o meno atteso, quando “sicuro”, era in arrivo-sebbene Hillary Clinton non avesse fatto parola sul palco, per così dire, che alle 19.00 il risultato sembrava certo, stando alle votazioni-e chi di dovere era pronto a pubblicare i pezzi prontamente ripuliti. Poi ad un tratto la confusione, quel visibile pseudo-panico di gente che correva avanti e indietro sullo sfondo del palco, con quello stesso spirito leggermente terrorizzato che tutti abbiamo sentito quando gli scioccanti risultati hanno iniziato ad emergere dalle contee extra-urbane della Florida. Poi sì-sta succedendo davvero? il risultato inaspettato rivisto e corretto.

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In questo caso, ovviamente, il verdetto è stato positivo per chiunque eccetto per i produttori di La La Land, i quali avevano già enunciato i loro discorsi seri approvati dalle mogli. Moonlight era il NO Donald Trump del cinema nonché il favorito del pubblico. (Per quanto ci siano alcuni di noi che hanno trovato quei sentimenti così bellamente fotografati, un po’, beh, sentimentali). Ma in maniera sconcertante il ritmo della serata è stato lo stesso così come l’assoluta improbabilità del caso. Niente del genere è mai e poi mai accaduto. Non parliamo di lieve confusione ma di un massiccio malfunzionamento. Trump non può essere il presidente; dimenticando tutti i vincoli ideologici, nessuno che fosse vagamente simile a lui è rientrato nella lunga lista di presidenti, buoni, cattivi o indifferenti che fossero; nessuno così zotico, grezzo o chiaramente fuori forma. Le persone non dicono “Prendile per la patata” per poi diventare presidente. Non può succedere. Allo stesso modo, per quanto ci fossero già state controversie sugl’Oscar-pareggi e premi rifiutati- non era mai successo che un film sbagliato ricevesse la statuetta, che i discorsi venissero enunciati, per poi assegnare il riconoscimento ad un altra pellicola. Questo non capita. Mai.

E quindi questi eventi bizzarri sono portatori di una tesi semplice ma che lascia a bocca aperta: noi viviamo in Matrix, e qualcosa sul pannello di controllo non ha funzionato. Mi dicono che questa tesi sia stata avanzata in maniera energica dal filosofo della NYU (New York University) David Chalmers: ciò che accade di recente, secondo Chalmers, supporta l’ipotesi secondo cui viviamo in una simulazione computerizzata e che ultimamente qualcosa è andata fuori controllo. Le persone o le macchine o gli alieni che si pensa stiano manovrando le nostre vite stanno avendo qualche intoppo. C’è un problema tecnico e noi ci siamo dentro.

Una volta ottenuta tale consapevolezza, va detto che il resto inizia ad acquisire ordine. L’ultimo Super Bowl, per esempio. Il risultato, bizzarro in superficie, con quell’impossibile comeback senza precedenti, completo di catch stravaganti, coperture totalmente mancate e falle in difesa- non ha alcun senso nel mondo “reale”. Non succede. Ma è esattamente quanto ti aspetteresti da un adolescente e dal padre di mezza età che si scambiano i controller nella versione video-game di EA Sports: il padre pugnala e preme i pulsanti disperatamente mentre il ragazzino fa giocare tutti uno dietro l’altro e i venticinque punti di vantaggio vengono cancellati in pochi minuti, e proprio in questa maniera- con una facilità estrema da un lato e con il panico del pollo con la testa mozzata che invece divora l’altro. Cos’è successo, poi, con la logica da ultimi cinque minuti della “Twilight Zone”, è ovvio: ad un certo punto verso i tre quarti, l’alieno onnisciente o il supercomputer che “suonava” the Patriots ha scambiato il suo controller con un adolescente della sua prole, o un modello nuovo di zecca, con il risultato incredibile cui abbiamo assistito.

Ci potrebbe essere qualcosa di più di un guasto in Matrix. Ci potrebbe essere un Loki, un burlone che all’improvviso fa girare quel guasto. Dopo tutto, la stessa identica cosa pare sia successa il giorno delle elezioni: il programma era pronto, e poi qualche signore cattivo-non importa se un alieno o un’intelligenza artificiale-ha detto, “Beh, e se lui vincesse davvero? Quale sarebbe la reazione?” “Non puoi fargli questo,” disse il più saggio e vecchio Architetto. “Oh, dai” disse il bambino. “Sarà divertente. Vediamo che fanno!”. E poi è successo. Sembra che viviamo dentro una sorta di ribellione giovanile causata dai controller del videogioco in cui siamo intrappolati, i quali fanno ciò seguendo una perversa idea di divertimento.

La tesi per cui ci troviamo all’interno di una simulazione è, come ben sa chi tiene traccia di

new yorkerqueste cose-me l’ha spiegato mio figlio in età da college- quanto di più lontano dall’essere uno scherzo o una semplice idea. La discussione, dibattuta a lungo al Museo Americano di Storia Naturale lo scorso anno, è che le probabilità che il nostro sia un universo simulato sono schiaccianti. Il ragionamento è elegante. Perché l’avanzare dell’intelligenza sembra l’unica costante fra i viventi-e poiché è più probabile che no che questi vivano sparsi nell’universo-dunque una delle cose che una materia vivente dotata di intelligenza farebbe è creare simulazioni di altri universi in cui condurre esperimenti. (Non siamo tutti così svegli, e stiamo già provando a farlo, attraverso modelli interattivi di grandi economie e popoli, ma, presumibilmente, con computer ancora “primitivi”).

Dato che ci sarà un solo “vero” universo, e infiniti altri simulati, le probabilità per cui viviamo in uno di quelli e non nella realtà effettiva sono travolgenti. Se esiste la vita intelligente, allora stiamo pur certi che ci troviamo in una delle sue Matrixes. (O Matrici, a seconda della lingua prescelta). Come ci racconta in breve Clara Moskowitz in Scientific American: “Un popolare dibattito sull’ipotesi simulazione è giunto dal filosofo dell’Università di Oxord Nick Bostrum nel 2003, quando ha suggerito che membri di una civiltà avanzata con straordinarie conoscenze del computer potrebbero decidere di condurre simulazioni sui propri avi. Con grande probabilità sarebbero in grado di creare così tante simulazioni da rendere la maggior parte delle menti all’interno di esse artificiali, invece di ricreare quelle originali dei loro antenati. Statistiche tanto semplici suggeriscono che c’è più probabilità che le nostre menti siano fra quelle simulate”.

Il timore implicito di tale ragionamento è chiaro. Se siamo fra quelle menti, allora esistiamo per essere menti stimolate: esistiamo perché i controller possano fare esperimenti su di noi. Fino a poco fa, la nostra simulazione, la Matrice al cui interno eravamo inconsapevolmente intrappolati, sembrava in mani sicure. Cose terribili sono accadute quando quelle macchine senza cuore che la gestivano hanno sperimentato gli effetti dell’evento traumatico-guerre, pestilenze, “Gilligan’s Island”-su soggetti ad alta carica emotiva come noi. E comunque la logica base del programma appariva sicura. Quel che è fatto è fatto; i gatti non sono andati a Westminster, Donald Trump non è stato eletto presidente: la pellicola che ha vinto il premio al Miglior Film ha vinto il premio al Miglior Film. Ora tutto è andato in confusione e nulla può succedere.

Sia che ci troviamo alla mercé di un adolescente burlone o che d’improvviso siamo i soggetti di un esperimento più straziante dei precedenti (i fondi dei nostri padroni alieni sono sotto minaccia, dunque sono costretti a mostrare i risultati all’istituto che li sovvenziona e che senza dubbio sovrintende le simulazioni?) ora non possiamo aspettarci nulla di remotamente normale all’orizzonte. Si stanno trastullando con i nostri arnesi, e nessuno ne conosce la fine.

O magari, preghiamo, qualcuno ha dimenticato di attaccare la spina ad una parte importante della macchina e, una volta rintracciato il problema, ci riattaccheranno ai soliti circuiti psicologici. Speriamo in un misterioso sovraccarico energetico, e poi di nuovo nella normalità. Ma non ci contate. Aspettatevi il peggio. Oh, aspetta. E’ già successo.

Articolo di Adam Gopnik per il New Yorker

 

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