Gli schiavi innamorati – Intervista a Jan Soldat

Jan Soldat
Al festival Cuore di Latta di Bologna, Jan Soldat, profondo osservatore di stili di vita e comportamenti umani, usa il cinema per soddisfare la sua attenzione e devozione verso il corpo umano colto nella sua nudità, interesse che l’ha portato ad entrare in contatto con il mondo BDSM, quindi del sadomasochismo, che ha avuto modo di perlustrare fin nei più intimi dettagli.

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Si è da poco concluso a Bologna Cuore di Latta – Festival di Arti e Cultura su Amore e Potere, che ha visto come contenitore lo Spazio Oz della città e come contenuto un vasto fermento di artisti e di arti.
Tra i protagonisti della serata cinema, Jan Soldat, presente al festival con Der Unfertige (The Incomplete, Premio CinemaXXI film brevi al Festival di Roma), Ein Wochenende in Deutschland (A weekend in Germany) e Zucht und ordnung (Law and order).
Profondo osservatore di stili di vita e comportamenti umani, Soldat usa il cinema per soddisfare la sua attenzione e devozione verso il corpo umano colto nella sua nudità, interesse che l’ha portato ad entrare in contatto con il mondo BDSM, quindi del sadomasochismo, che ha avuto modo di perlustrare fin nei più intimi dettagli.
Tra le ispirazioni dichiarate ci sono Ulrich Seidl, Christoph Schlingensief, Romuald Karmakar, Wang Bing e Harmony Korine.
 
A weekend in GermanyCome sei venuto in contatto con il mondo ‘estremo’ delle pratiche BDSM? Cosa ti ha fatto sentire la necessità di raccontarlo?
Ciò che più mi ha affascinato di questo mondo non è il suo essere ‘estremo’ ma è il suo essere ‘sconosciuto’. Inoltre io sono molto interessato alla figura del corpo umano e che non amo i film di finzione.
Da sempre sono interessato all’idea del sesso, il sadomasochismo è stato un incontro all’interno di questa ricerca. Nel 2008, quando ero al primo anno della scuola di cinema, ci era stato dato un esercizio: dovevamo trattare l’argomento “tempo”, allora io ho ripreso due persone nell’atto di fare sesso. Questo mi ha interessato molto a livello estetico, così come da sempre mi interessano i corpi nudi. A un certo punto ho incontrato una coppia di anziani che praticava il bdsm. Da lì ho poi iniziato a chiedermi se esistesse qualcuno che volesse essere schiavo al 100 per cento. E allora, ancora, sono venuto in contatto con il mondo degli scambi di ruolo e delle prigioni.
Ogni mio film rappresenta un’astrazione delle relazioni: in essi si può vedere a livello esemplare come funzionano le dinamiche di potere e  dominazione che sono una caratteristica di tutti i tipi di relazione e non solo di questi.
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Jan SoldatIl tuo stile è molto distaccato e distante: la macchina da presa è fissa, tutto sembra oggettivo. Ma qualche volta, per esempio in Zucht und Ordnung, i personaggi ti chiamano per nome. Riesci a non farti coinvolgere in quel che succede?
A volte, quando sono così vicino ai miei protagonisti, è difficile mantenere il giusto distacco. Può succedere, per esempio  il film “si innamori” dei protagonisti al punto da evidenziarne solo gli aspetti teneri e affettivi. Ma anche questo è un errore, io credo che sia necessario mantenere la giusta relazione tra vicinanza e distanza. La macchina da presa aiuta molto in questo e serve a proteggere la dignità del soggetto inquadrato e ad attenuarne la pena. E’ lo spettatore che deve decidere quanto vicino o meno vuole arrivare. Inoltre, a me non interessa né esaltare né giudicare i loro comportamenti: chi giudica si chiude, non può più relazionarsi con l’altro.
 
The incomplete
In Ein Wochenende in Deutschland i tuoi personaggi consumano le loro pratiche sessuali con estrema quotidianità. Cosa spinge i tuoi personaggi a mostrarsi così intimamente davanti alla macchina da presa?
Penso che la ragione sia il desiderio di essere compresi, di essere visti come ciò che loro sono e vogliono essere. A questo si aggiunga il desiderio di essere accettati e di creare un’immagine più realistica di quel che la sessualità può essere.
Succede mai che spegni la macchina? Quanto ti senti responsabile e che scelte fai al montaggio?
Io amo tutti i miei personaggi, attraverso le loro azioni credo di poter descrivere la felicità e il piacere anche se con azioni che magari io non farei. Ma qui interviene anche la mia responsabilità per capire fino a dove posso mostrare, fino a quanto una persona è disposta a vedersi sullo schermo. A volte succede che qualcosa mi metta a disagio ma in questo caso provo a cambiare angolazione, oppure lascio la stanza senza spegnere la macchina. Spengo la macchina soltanto se sono i protagonisti a provare disagio. Lo stesso vale per la fase di montaggio.
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