Grease – Brillantina, di Randal Kleiser

40 anni dopo, continua ad essere la parola, il luogo, la emozione, la nostalgia di un qualcosa mai accaduto seguendo il ritmo delle scarpe di Travolta. Domani, ore 21.25, Canale 5

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Questa è una vita di illusioni, una vita di controllo
mischiato con confusione, cosa ci facciamo qui?
Grease (Frankie Valli, scritta da Barry Gibb)

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Cosa ci facciamo qui, 40 anni dopo, a parlare ancora di Grease – Brillantina? Grease is the word, è una concetto, è un luogo, una emozione, un modo di essere? Una dimensione della quale tutti siamo un po’ parte, mentre continuiamo a ricostruire i pezzi di quell’immaginario e a far ronzare quelle canzoni in repeat, pure senza volerlo? Oltre a uno dei film più celebri della storia del Cinema, nella sua genesi Grease sembra essere un qualcosa di già accaduto. Una continua ricerca del fulcro della nostalgia, la volontà di diventare passato prima ancora di cominciare a esistere. Grease potrebbe essere anche un modo di tornare al futuro, un movimento pendolare che varia la sua velocità seguendo il ritmo delle scarpe di Travolta, ma che rimane sempre nella stessa dimensione colorata e brillante, facendo vedere le tracce del passato e, allo stesso tempo, il riflesso di ciò che sarebbe diventata con gli anni.

Tratto dall’omonimo musical di Jim Jacobs e Warren Casey, il film di Randal Kleiser (Laguna blu), fa vedere la sua vanità, la sua entropia – implodendo, rivolgendosi sempre verso se stesso – sin dai titoli di testa: la sequenza dei cartoni animati che non solo presenta i personaggi come in una galleria già mitica, ma stabilisce subito le proprie pretese, la voglia di rendersi perenne, un classico e anche una versione aliena di se stesso. Tutti davanti a uno specchio, in posa, cercando di pettinarsi e di essere ritratti per la posterità. Danny (John Travolta), Rizzo (Stockard Channing) e il loro sorriso cinico, la Sandy di Olivia Newton-John circondata da bambi e dagli uccelli blu che la rendono una sorta di Cinderella nella beata innocenza. Poi, attimi lampeggianti di Elvis, Stalin e Martin Luther King, che si alternano con la locandina de I dieci comandamenti di Cecil B. DeMille, una pubblicità di Firestone e di Pepsi-cola, l’immagine di una coppia modello degli anni cinquanta sopra il logo di Lucky strike.

Ma dove finisce il passato e comincia Grease? Dove si conclude la sensazione di stare fuori

luogo, fuori tempo, in una dimensione ritrovata ma aliena, e inizia la contemporaneità? Grease – brillantina fu girato spinti dalla nostalgia recente degli anni cinquanta, del musical allo stato puro, del lieto fine – contrario alla tendenza più cruda e brutale con cui si costruiva la Nuova Hollywood negli anni settanta – del Beach Blanket Bingo di Frankie Avalon, di Fred Astaire, Ginger Rogers, Gene Kelly e Debbie Reynolds che ballano spensierati dentro il mondo finto di uno studio cinematografico. Con attori che erano già troppo grandi per interpretare ragazzi del liceo (Newton-John aveva 30 anni e Stockard Channing, 33) e un gruppo di attori non protagonisti senza particolare fascino, bellezza e glamour, ma che ormai sono riusciti a costruire una coerenza, un archetipo, un corpo cinematografico vibrante e indimenticabile. Con la consapevolezza di stare creando un’illusione, un gioco d’artificio, una parola, un mood che andasse oltre la dimensione cinematografica.

Sandy/Olivia e Danny/John, mentre costruiscono una delle coppie più iconiche della cultura pop, diventano pure una replica plastica di loro stessi, un’estensione organica che si stacca dalla loro versione unidimensionale. Un John Travolta che aveva appena stabilito con La febbre del sabato sera la sua condizione di icona, il suo corpus cinematografico e che in Grease realizza già un atto prematuro di nostalgia del suo Tony Manero (rendendogli pure omaggio nella scena di ballo Born to Hand Jive, accanto alla indimenticabile Annette Charles/Cha Cha DiGregorio). Poi Sandy, che è anche una versione della stessa Olivia, sempre troppo bella, troppo dolce, troppo classica, quasi innocua, che pure nella sua forza e talento immenso spesso rischia di rimanere nella zona del banale, del kitsch, del piacere proibito, della festa famigliare e del concerto di casinò. Che anche se fuma, bestemmia, indossa un abito stretto in pelle e dei tacchi rossi, rimarrà sempre la nostra Sandra Dee.

Più che una parola, un luogo, e ancora più che un film, Grease è il modo in cui ci sentiamo. Vuol dire avere la libertà di fare un’immersione totale, di lasciarsi andare e perdersi nella nostalgia di un qualcosa mai accaduto, mai vissuto, ma che sentiamo come nostro. Grease – brillantina è anche un’illusione fatta di plastica. Ma proprio in questa condizione si trova la sua capacità di brillare, di fare combustione, come se fosse una superficie piena di lacca che davanti alla scintilla più piccola e innocua rischia di prendere fuoco e finire in fiamme. Un luna park in continua alta stagione, una ruota della fortuna che gira sempre su se stessa, un classico e una parodia, un mondo di scenografia dove lo spirito dell’High School e l’illusione dell’eterna giovinezza non si esaurisce mai, dove seguire testi incomprensibili, cantare a viva voce rama lama lama ka dinga da dinga dong e volare dentro una macchina rossa per poi sparire all’orizzonte nuvoloso sembra un’azione possibile, e anzi, piena di senso.


Titolo originale: Grease

Regia: Randal Kleiser
Interpreti: John Travolta, Olivia Newton-John, Stockard Channing, Jeff Conaway, Barry Pearl, Didi Conn, Jamie Donnelly
Durata: 120′
Origine: USA, 1978 

Genere: commedia/musicale

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