Gruppo di famiglia in un interno, di Luchino Visconti

Un lungo e ininterrotto dialogo con l’arte consolatrice, dimostrando anche l’impossibilità di conciliare la propria esistenza con quella degli altri. Oggi, ore 18.50, Sky Classics

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Nei miei giovani anni di mattina avevo allegrezza,
Di sera lagrime, ora che ho più età,
Comincio dubbioso il mio giorno,
Ma sacra e serena è per me la sua fine.
Friedrich Hölderlin

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E d’altronde siamo qui per questo: per bruciare finché la morte, che è l’ultimo atto della vita, non completi l’opera trasformandoci in cenere.
Luchino Visconti

Luchino Visconti, nel 1974, anno di uscita di Gruppo di famiglia in un interno, aveva 68 anni e solo due anni dopo sarebbe scomparso e questo sarebbe stato il suo penultimo film, ma forse è l’ultimo pienamente compiuto, prima del discontinuo e perplesso L’innocente.
Non è solo per una questione strettamente temporale che la precisazione ha valore, ma anche e soprattutto perché Visconti sembra abbia riversato in questo film tutte le paure, i disagi, il distacco dalle cose della vita, le memorie, i rimpianti e i piaceri residui di una senilità anticipata eppure così forte, nonostante le sue affermazioni dell’epoca contengano dichiarazioni contrarie e manifestino una invincibile voglia di mettere in piedi altre regie e altro lavoro.
Un professore americano vive nella sua bella casa romana tra libri e quadri. La sua quiete

Gruppo di famiglia in un interno, 1974accompagnata dalla contemplazione delle opere d’arte che la casa conserva è turbata dalla marchesa Bianca Brumonti che gli chiede in affitto l’appartamento del piano superiore da destinare a Konrad suo giovane amante. Il gruppo familiare che si insedia nell’appartamento sconvolge la vita dell’anziano professore. Ma il breve ritorno al rapporto con la vita si interromperà e per lui sarà per l’ultima volta.
Gruppo di famiglia in un interno trae ispirazione da Scene di conversazione un originale lavoro del saggista e critico d’arte Mario Praz nel quale l’autore, conoscitore ed esteta dell’arte, mette al centro del proprio saggio la pittura di gruppi familiari o quella che ritrae conversazioni tra persone. Visconti riprende il filo di questo discorso del critico romano e lo trasferisce nel muto dialogo, anche acceso di passioni al limite dell’incomprensibile (l’antipatia del professore verso una figura ritratta in un quadro), facendone ulteriore manifestazione di solitudine e di accentuata misantropia. È da questo intimo incedere Gruppo di famiglia in un interno, Lancasterche Gruppo di famiglia in un interno appare come un film racchiuso dentro le mura dell’appartamento nel quale, il professore (senza nome), decide di rifugiarsi chiudendosi al mondo. Ed è il giusto contrappasso a questa accentuata solitudine vedere il panorama della città, dall’ampio balcone, circondato da cupole, palazzi gentilizi, ma tutti di cartone.
Gruppo di famiglia in un interno resta quindi il film più notturno di Visconti e non Le notti bianche, film nato dalla reazione ad un neorealismo che Visconti non sopportava più. In quel film la notte sottolineava la dimensione onirica della vicenda, diventando paesaggio necessario e quindi coprotagonista delle manifestazioni d’amore dei personaggi. Qui, invece, la notte, smette di essere pura ambientazione, per diventare dimensione silenziosa connaturata al personaggio, alla sua evoluzione trasformandosi in stato d’animo, in atteggiamento dello spirito, secondo una interpretazione classicamente romantica che appartiene, per inclinazione anch’essa naturale, alla letteratura tedesca, rispetto alla quale Visconti ha sempre nutrito grande ammirazione diventando fonte di esplicita ispirazione per una parte delle sue opere.
Il personaggio del professore di scienze (e non di materie umanistiche, come si potrebbe Gruppo di famiglia in un interno, Viscontiimmaginare) alle prese con la irregolare famiglia con a capo la dispotica Bianca Brumonti, interpretata da una glaciale Silvana Mangano, riporta alla memoria, con le opportune correzioni, quello del Principe di Salina di Il gattopardo. C’è sempre nel cinema di Visconti la costante poetica crepuscolare del tramonto di un’epoca, storica (La terra trema, Ludwig, Il gattopardo, La caduta degli dei) o della vita umana e ogni suo film riconduce, inevitabilmente, alla riflessione su questi temi nelle sue varie declinazioni. Gruppo di famiglia in un interno, con le accentuate caratteristiche, proprie della storia, costituisce il suggello ultimo a questi temi, essendo pienamente pervaso da una malinconia per il distacco dalle cose terrene e per l’incompiutezza della propria vita che si manifesta in quella specie di anomala paternità mancata che sente di nutrire per il dissoluto Konrad (Helmut Berger). In questo clima crepuscolare vanno lette le illuminazioni della memoria, che in due luminosi flashback Gruppo di famiglia in un interno_1riportano il ricordo del protagonista alla madre (Dominique Sanda) e alla moglie (Claudia Cardinale)
Nel film, il colorarsi di agganci col presente rende evidente il rifiuto del regista per certe espressioni della contemporaneità che diventano rifiuto politico dello stato delle cose. La filmografia di Visconti, ha sempre lavorato su un terreno non consueto per il cinema italiano, in una specie di piano alt(r)o della cultura italiana, con una vena di aristocratica distanza da ogni contingenza sociale, perfino in quei film (La terra trema, Rocco e i suoi fratelli) nei quali la fonte di ispirazione sembrava essere quella della riflessione nell’ambito di una forte evoluzione sociale. Ma Visconti anche in queste occasioni cambia ostinatamente direzione e mette in scena solo i drammi interiori dei suoi personaggi, da qui una certa distanza con il puro neorealismo. Il suo cinema è stato sempre diretto nel mostrare la parte più malata dell’animo umano che scivola verso l’abiezione e la decadenza di ogni principio. Gruppo di famiglia in un interno_3La morte, in Visconti diventa la soluzione possibile per pacificare l’afflizione, per placare la coscienza o più in generale purificandone da ogni errore la vita interiore. Dall’altra parte l’arte come governo della propria vita (Ludwig). Concetti che restano temi dominanti, benché non sempre espliciti nella letteratura di riferimento del regista milanese, Mann, Proust e gli altri scrittori che attraverso la contemplazione dell’arte e della bellezza hanno inteso reagire al razionale positivismo che aveva caratterizzato le epoche precedenti. Quindi lungi dall’attribuire al termine un significato e un’accezione negativa, va detto che il cinema di Visconti risente di quella cultura decadente e a Gruppo di famiglia in un interno è attribuito il compito di tirare le fila di un lungo e ininterrotto dialogo con l’arte consolatrice dimostrando anche l’impossibilità di conciliare la propria esistenza con quella degli altri. Il pessimismo Gruppo di famiglia in un internotrattenuto del film è appena stemperato da quell’incipiente, ma irrisolto, rapporto quasi paterno tra il professore e Konrad, rappresentante della decadenza morale fatta di invadenza, volgarità e irriguardosi atteggiamenti. Ma nonostante questo i componenti della famiglia della Brumonti sembrano attrarre, per incomprensibili ragioni, il professore, così distante culturalmente e anagraficamente da quelle persone. Tutto resta chiaro nel monologo finale del film. Per il protagonista l’incontro con la famiglia della signora Brumonti rappresenta il ritorno alla vita, ai rapporti umani, ad una specie di vitalità perduta. Ma si tratta solo di una illusoria impressione che costituisce un altro colpo alla fragile consistenza della sua vita. Visconti chiude il film sulla morte del personaggio, immerso in una bellezza che non può più dare alcuna consolazione.
Regia: Luchino Visconti
Interpreti: Burt Lancaster, Silvana Mangano, Helmut Berger, Claudia Marsani, Stefano Patrizi, Claudia Cardinale, Dominique Sanda, Romolo Valli

Durata: 125′

Origine: Italia/Francia, 1974
Genere: Drammatico

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