Honeyland, di Tamara Kotevska e Ljubomir Stefanov

La storia dell’apicoltrice Hatidze Muratova è un piccolo universo specchio di qualcosa di molto più grande, portatore di un messaggio di allerta planetario. Doc con 2 nomination agli #Oscars2020

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Per portare a termine Honeyland ci sono voluti quattro anni e 400 ore di ripresa. Il documentario premiato al Sundance, ed arrivato all’attenzione degli Oscar, dove ha ricevuto due candidature (miglior documentario, miglior film straniero), nasce in realtà da un progetto iniziale molto diverso. L’idea era di confezionare un video promozionale del territorio dove scorre il fiume Bregalnica, nel Nord della Macedonia, corretta in corsa dopo l’incontro della troupe con Hatidze Muratova, una apicoltrice che accudisce amorevolmente la madre anziana e malata. La vita delle donne si svolge in perfetto isolamento, fatta eccezione per gli animali, e la passione di Hatidze per le api le permette di ricavare quel tanto che basta per la loro sussistenza attraverso la vendita del miele nel mercato di Skopje. Le finalità economiche sono un’appendice, l’armonia resta il cardine di un rispetto per l’ecosistema che nella reciprocità continua a replicarsi e donarsi supporto. Infatti le tecniche utilizzate dalla protagonista per l’allevamento e la produzione del prodotto evitano con attenzione di alterare un equilibrio costruito nel tempo, per tutelare la genuinità e garantire il decorso del ciclo naturale.

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L’arrivo furibondo di una famiglia turca nei terreni limitrofi, uomo, donna, sette figli, insomma quanto di più simile ad una carovana, stravolge questo piccolo angolo dominato dai rumori della routine bucolica. Hussein Sam è anch’esso un apicoltore e proprietario di vacche che conduce una vita nomade. La sua relazione con la terra è di tipo rapace, per sfamare la numerosa prole è disposto ad esercitare uno sfruttamento intensivo degli animali, anche a costo di mettere a repentaglio la loro stessa vita e danneggiare irrimediabilmente l’habitat. Motivati da visioni così distanti, basta poco affinché il rapporto di buon vicinato cominci a guastarsi. Dal contrasto generazionale colpisce invece l’esistenza di un bioritmo precoce, la presenza di uno stadio educativo dettato dalla necessità di imparare abbastanza per sopravvivere, ed anche sotto questo aspetto possono rilevarsi delle sfumature significative nel modo giusto per relazionarsi con il pianeta, optando per uno scambio simbiotico o soltanto parassitario.

Quale che sia l’approccio umano, l’attenzione del film si concentra sugli aspetti della vita contadina piena di spiragli di mirabile bellezza ma ugualmente faticosa, fatta di una durezza senza appello, sorda alle necessità quanto generosa nell’elargire doni. Evita di raccontare un idillio incrollabile, marca invece le fragilità, e lo fa soprattutto descrivendo i pericoli insiti nel processo di smielatura durante l’estrazione dei favi dall’apiario, dove la salvaguardia e la cautela lavorano per lo stesso obiettivo.

Honeyland parla dunque del disastro ambientale riflettendo sulla posizione invasiva dell’uomo, convinto di meritare dei riguardi speciali, talmente accecato di egocentrismo da riservare per sé gli onori, pronto a lasciare gli oneri ai posteri. Un lascito avvelenato di irresponsabilità. Le conseguenze del suo passaggio coprono la parte centrale del film, costruita rispettando una certa fedeltà cronologica dall’arrivo, con l’invasione dello spazio e la baraonda, per poi arrivare alla partenza e l’impatto ambientale degradante indicato dai segni lasciati a terra.

Resta la sensibilità di sguardo della protagonista, il volto scavato dalle rughe e dalle lacrime, simbolo di una diversità piena di speranza ma condannata all’impotenza da comportamenti sciagurati, ultimo baluardo prima di una deriva irreversibile. Un piccolo universo specchio di qualcosa di molto più grande, capace di farsi portatore di un messaggio di allerta planetario. Gettando una luce sul mondo delle api, insetto sociale e primo indicatore sul grado di inquinamento, sentinella eccellente e laboriosa, considerata ormai come specie a rischio d’estinzione.

 

Titolo originale: id.
Regia: Tamara Kotevska e Ljubomir Stefanov
Distribuzione: Stefilm International
Durata: 87′
Origine: Macedonia, 2019

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.4

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4.25 (4 voti)
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