I bambini sanno, di Walter Veltroni

Forse non conosciamo tante cose come i bambini del film, ma una cosa crediamo di saperla: che questo non ci sembra un film e Walter Veltroni non ci sembra un regista. Un documentario dove non c’è equilibrio tra le diverse interviste e dove l’ombra della sua voce off sovrasta tutto. Anche con i suoi certi piccoli amori…

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Forse non conosciamo tante cose come i bambini del film, ma una cosa crediamo di saperla: che I bambini sanno non ci sembra un film e Walter Veltroni non ci sembra un regista. In questo secondo documentario, dopo Quando c’era Berlinguer, si sente lo stesso respiro sentimentale-pedagogico, l’intento di educare col cuore, la passione e la conoscenza. L’apertura, con la citazione di Il piccolo principe di Saint-Exupéry è già una dichiarazione d’intenti.

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La contemporaneità, gli sguardi sul futuro e uno specchio del nostro paese vengono raccontati attraverso le voci e i volti di 39 bambini dagli 8 ai 13 anni. Si parla di famiglia, Dio, omosessualità, crisi economica, passioni, futuro. Dei racconti in prima persona in cui Veltroni, pur non essendo in campo, sovrasta tutto con la sua voce-off. Esibisce la complicità, la sintonia, la presunta naturalezza dei bambini davanti alla macchina da presa quando molti di loro sembrano non solo parlare ma anche recitare durante le interviste. Anche se è un film che racconta la vita (dal piccolo mulsulmano che racconta dei cugini trucidati insieme a un neonato di 8 mesi alla ragazzina che parla del padre deceduto da poco) sembra spesso che le dichiarazioni intime non escano fuori naturalmente, ma come forzate, forse il risultato finale di diverse prove.

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i bambini sannoUn documentario dovrebbe avere un ritmo e una sua coerenza interna. Qualunque sia l’argomento che affronta. Quelli realizzati da Veltroni invece sembrano ignorarla. Conta la persona prima di tutto. Che bello, sembra quasi uno spot elettorale. Peccato che non ci sia equilibrio tra le diverse interviste, peccato che alcuni bambini si vedano troppo e altri troppo poco. Poi c’è la divisione del film in diversi argomenti, come in rigide didascalie. Solo apparenti però perché mentre si affronta  il tema della crisi di colpo un protagonista torna a parlare di Dio.

Non manca nulla. Grandi domandi (“Cos’è l’anima secondo te?”, “Cosa serve per essere felici?”), considerazioni (“Chi vive un dolore poi ha una maggiore profondità”), richieste di spiegazioni (“Come mai Dio ha acconsentito che ci sia la guerra?”), presentazioni (“Valerio sa tutto dei numeri e sta imparando la vita”), confidenze (“Ti sei mai innamorato?”). Con i fumetti di Altan che fanno un po’ vintage. E poi la vita e il cinema. Bambini che corrono. Tra cui gli spezzoni da Billy Elliot, Ladri di biciclette, L’estate di Kikujiro, La figlia di un soldato non piange mai, La corsa dell’innocente, Kaos, I bambini ci guardano. Accompagnati da una musica al piano sovrastante che chiama l’emozione e le urla: “Pronto, ci sei?”. Ancora certi piccoli amori, come il suo dizionario sentimentale dei film. E allora non può mancare I 400 colpi. Sguardo in macchina. Perché Truffaut, sembra dirci Veltroni, è sempre uno di noi. E alla fine, non dimentichiamocelo, siamo tutti un po’ Doinel.
Sotto sotto, esiste anche un altro film. Che non si vede. Dove non sono protagonisti i bambini, ma quei documentaristi che fanno un lavoro sul campo da anni. Molti di talento. Che la sala non la vedono neanche col binocolo. Ma questo è un altro discorso.

 

Regia: Walter Veltroni

Distribuzione: Bim

Durata: 113′

Origine: Italia 2015

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