I figli dell’uragano (Storm Children. Book One), di Lav Diaz

Lav Diaz testimonia un liminale stato delle cose mentre perpetua una dirompente politica delle immagini povere e orgogliose come i protagonisti. Da oggi a Milano al Beltrade, sabato a Roma al Detour

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Apocalisse. Nel 2013 il devastante tifone Yolanda investe le Filippine lasciando solo macerie e distruzione. Il cinema di Lav Diaz, allora, non poteva che scendere nuovamente in strada per immergersi nei ruderi del mondo e pedinare gli ultimi testimoni della storia: bambini che sorridono e sopravvivono cercando ancora tracce di umanità. Storm Children è l’ennesimo straordinario film-esperienza di una radicalità estrema e necessaria, dove Diaz continua imperterrito a sondare i territori abituali del suo filmare – il dopo tifone di Death in the Land of Encantos, le macerie della memoria di Melancholia, la spiritualità che permea ogni gesto di From What is Before rinunciando questa volta a qualsivoglia appiglio narrativo in favore di un pedinamento ossessivo di figli dell’uragano incontrati per caso come fantasmi che balenano dalla storia. Di nuovo dal contingente all’universale, dal gesto alla memoria, dalla rimozione a una nuova identità: questi ragazzini (r)esistono solo nelle sue immagini, vivono in piani sequenza lunghissimi e di una potenza simile solo al tifone che ha distrutto ogni paesaggio conosciuto e ridiscusso ogni coordinata di sguardo.

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Cinema. È veramente un privilegio raro continuare a seguire l’itinerario sublime di questo regista così prolifico e maledettamente contemporaneo. Lav Diaz da un lato testimonia un liminale stato delle cose (l’afflato documentale) e dall’altro perpetua la sua dirompente politica delle immagini (povere e orgogliose come i suoi protagonisti) in una sfida allo spettatore portata sino a un finale vissuto in apnea, dove tutta la furia testimoniale manifestata sin lì si placa in un’estatica epifania visiva. Un campo lungo su navi abbandonate, enormi ruderi di un sistema economico allo sbando, utilizzate ora dai bambini per tuffarsi nell’acqua, sotto la pioggia, tornando a giocare… nonostante tutto. Veramente un cinema al suo grado zero, lumièriano, che merita di essere abbracciato e difeso come il più inaspettato dei regali. Un autore immenso.

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