I FILM IN TV – Film della settimana: LA GRANDE ABBUFFATA

L'accelerazione del disfacimento di una società, all'epoca ancora (parzialmente) industriale, era l'argomento preferito da Ferreri che poi sarebbe tornato sul tema. Film claustrofobico e mortifero attraverso una forma del tutto differente e perfino accattivante. Sabato 14 maggio.

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Apocalittico e mai integrato, provocatore per disposizione genetica, genio del grottesco e carismatico personaggio del cinema che non ha lasciato eredi, ma una grande eredità, Marco Ferreri ha lavorato su direttrici del tutto estranee alla tradizione italiana e con una propria, autarchica, originalità che lo ha in qualche misura isolato nel proprio paese, ma lo ha reso famoso altrove, in Francia, ad esempio, dove ha frequentemente lavorato.

Proprio a questa vena provocatrice e apocalittica appartiene La grande abbuffata (La grand bouffet per dirla in originale e confermare l’assunto). La storia dei quattro amici, che si fanno morire attraverso una pratica che dovrebbe, invece, dare la vita, abbandonandosi anche ad ogni eccesso sessuale al quale il consumo del cibo è indissolubilmente legato, porta la data del 1973, costituendo  l’avvio di una delle principali ossessioni ferreriane. L’accelerazione del disfacimento di una società, all’epoca ancora (parzialmente) industriale, era l’argomento preferito da Ferreri che torna più volte sul tema (Ciao maschio, L’ultima donna, ma anche L’ape regina e forse Dillinger è morto) con risultati non dissimili da quelli raggiunti con La grande abbuffata. Film claustrofobico e mortifero che manifesta però queste sue caratteristiche attraverso una forma del tutto differente e perfino accattivante. Si ha l’impressione, infatti, di assistere ad una festa ed è di questo, in fondo che si tratta, festa grottesca, bizzarra e blasfema, in cui l’implosione dell’assetto sociale avviene attraverso la celebrazione del rito consumistico per eccellenza, che diventa così non tanto paradigma di una civiltà giunta al capolinea, quanto piuttosto epifanica dimostrazione del risultato al quale porta la strada che l’occidente ha imboccato. Ferreri, con estrema onestà intellettuale, mostra tutta la volgarità di questo declino, nella sua brutale rivelazione, costruendo forse il film più autenticamente dissacrante e insieme tristemente sacrale dell’epoca e che così ancora resiste anche nel ricordo di coloro che non hanno più avuto occasione di poterlo vedere.

Girato in interni densi e quasi impregnati dell’odore dei cibi esposti, attraverso immagini che restituiscono la tetra festa che tra quelle mura si sta consumando, La grande abbuffata vive della recitazione magistrale di quattro attori che hanno segnato almeno trent’anni del cinema europeo. Solo la genialità di Ferreri poteva riunirli, chiamandoli con i propri nomi, e attribuire a ciascuno  l’indimenticabile volto della decomposizione del presunto benessere occidentale. Quello che rischia di corrodere non soltanto i nostri corpi, ma di intaccare i sentimenti imponendo la sua assoluta materialità.

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