"Il cacciatore di giganti", di Bryan Singer

il cacciatore di giganti
Bryan Singer ha la “capacità” di rendere antipatico qualsiasi personaggio gli capiti sotto mano. Eroi, eroine, villain, antagonisti, mostri vengono trattati allo stesso modo, filmati a distanza di sicurezza, quasi con disinteresse. Non sia mai che facendo il contrario si rischi inavvertitamente di raccontare l’uomo, o fare semplice del (buon) cinema

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All’inizio questo Bryan Singer lascia intravedere persino spunti sorprendenti. Nel prologo in cui viene raccontata la leggenda della guerra tra giganti ed esseri umani attraverso le pagine di un libro, i due fanciulli protagonisti che assistono al racconto immaginano il flashback come fosse un frammento di cinema animato, in antitesi con il naturalismo sbandierato nelle intime sequenze che aprono il film: la stanza da letto del piccolo contadino Jack e quella regale della principessa. In questo incipit Singer marca stilisticamente l’opera con due opposte concezioni di cinema e soprattutto delegando l’elemento fantastico a una messa in scena ovviamente artefatta ed esterna a quella “reale”. Così facendo manda in malora almeno vent’anni di mimesi e riflessioni hollywoodiane sul confine indiscernibile tra artificio e naturalismo. L’effetto speciale come espressione del disegno che non deve più inseguire né l’uomo né il set né soprattutto la verosimiglianza. Ma è probabilmente troppo. Certamente lo è per Bryan Singer, la cui filmografia nel tempo ha puntualmente tranquillizzato chi ritenne sopravvalutato quella celebrata opera seconda che fu I soliti sospetti e che dopo il prologo, governa questa storia fantastica abbandonando presto la teoria e (cosa ancor più grave) sperperando l’emozione.

Qui siamo comunque nel XII secolo. In epoca medioevale, dominata dalla superstizione e dalla paura del Male, un aspirante re malvagio (Stanley Tucci)  trova il modo di ripristinare il collegamento tra il regno umano di Cloister e la Terra dei Giganti. L’uomo possiede la corona magica che domina le imponenti creature, ma il suo scopo è quello di comandarle per distruggere l’umanità e prendere il posto del vero re di Cloister. Spetterà quindi al giovane Jack (Nicholas Hoult) e alla principessa Isabelle, cresciuti sin da piccoli – come abbiamo visto –  ascoltando leggende sui giganti, il compito di combatterli e ricacciarli ne loro mondo.


Dopo il mezzo flop di Operazione Valchiria, Singer torna al modello che – secondo alcuni – gli riesce meglio, ovvero il cinema di intrattenimento per le grandi masse (X Men 1 e 2). E infatti sulla carta questo Cacciatore di giganti certo si presentava come occasione perfetta per lavorare su archetipi universali condensandoli in un prodotto fantasy per ragazzi con integrazioni silenziose di cinema adulto. Un po’ Ladyhawke di Richard Donner, un po’ il Tolkien di Peter Jackson – di cui recupera soprattutto certe intuizioni scenografiche e alcune tipizzazioni gollumiane – senza però possedere la raffinatezza del primo né la passione del secondo. E certo non può bastarci costatare che un regista americano nel 2013 sa usare bene il dolly.  Inesistente come autore, Bryan Singer ha oltretutto la capacità – non troppo comune, questo lo ammettiamo – di rendere antipatico qualsiasi personaggio gli capiti sotto mano. Eroi, eroine, villain, antagonisti, mostri vengono indiscriminatamente trattati allo stesso modo, filmati costantemente a distanza di sicurezza, quasi con disinteresse. Non sia mai che facendo il contrario si rischi inavvertitamente di raccontare l’uomo, o fare semplice del (buon) cinema.

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Titolo originale: Jack the Giant Slayer
Regia: Bryan Singer
Interpreti: Nicholas Hoult, Ewan McGregor, Eleanor Tomlinson, Stanley Tucci, Bill Nighy

Origine: USA, 2013

Distribuzione: Warner Bros. Italia

Duarata: 114'

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