Il Cinema è ancora “impegnato”? Un numero monografico di Micromega interroga i registi

Da giovedì 15 dicembre in edicola l’Almanacco del cinema di MicroMega, numero monografico che ha come filo conduttore il rapporto tra il cinema e l’impegno

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Da Oliver Stone a Ken Loach, da William Friedkin a Pablo Larraín, da Denis Villeneuve a Alejandro Jodorowsky, da Steven Spielberg a Gianni Amelio, da Mimmo Calopresti a Lav Diaz: questi sono alcuni dei registi di cui si occupa quest’anno l’Almanacco del cinema di MicroMega, da giovedì 15 dicembre in edicola, libreria, ebook e iPad. Un numero monografico che ha come filo conduttore il rapporto tra il cinema e l’impegno. 

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La rivista diretta da Paolo Flores d’Arcais dà ampio spazio al cinema italiano con due tavole rotonde. Una prima con i registi Gabriele Mainetti e Claudio Giovannesi, noti al pubblico per i loro Lo chiamavano Jeeg Robot e Fiore, i quali dialogano sui rispettivi modi di fare cinema; una seconda dedicata al “Nuovo Cinema melting pot” con i alcuni fra i migliori registi-autori emergenti – Matteo Rovere, Cosimo Alemà, Irene Dionisio – capaci di sparigliare le carte senza rinunciare mai al proprio personalissimo sguardo sulla realtà.

La sezione italiana vede anche una conversazione con Mimmo Calopresti, uno degli autori più ‘impegnati’ del cinema nostrano e per il quale il luogo per eccellenza resta la fabbrica e il tema centrale è la salvezza, e un dialogo con Claudio Santamaria, l’attore italiano del momento, apprezzato per le sue enormi doti mimetiche e politicamente attivo (ha sostenuto la sindaca di Roma, Virginia Raggi, e ha appoggiato la campagna per il NO al referendum costituzionale).

Oltre alle tante conversazioni con i grandi maestri del cinema (condotte da Federico Pontiggia, Giona A. Nazzaro, Fabrizio Tassi, Giacomo Russo Spena, Filippo Brunamonti e Federico Chiacchiari), nell’almanacco si possono leggere tre saggi di particolare interesse. Roberto Nepoti pone l’attenzione sullo stile ritenendo che oggi si avverte con urgenza la necessità di rifondare un’etica del linguaggio, mentre Flavio De Bernardinis si interroga sull’enigma della cultura cinematografica italiana: esiste davvero? Che ruolo svolge la critica? Infine, Mario Sesti ci porta nel famigerato mondo delle serie televisive: un lungo saggio racconta tutte le serie tv, nel mondo, che vanno per la maggiore con la convinzione che il loro enorme successo è dovuto alla rivisitazione di grandi classici del cinema.

E per festeggiare i trent’anni della rivista, in regalo due volumetti con la ristampa delle interviste realizzate da MicroMega ai grandi protagonisti del cinema italiano e internazionale: Carlo Lizzani, Mario Monicelli, Francesco Rosi, Giuliano Montaldo, Felice Laudadio, Ennio Morricone, Paolo e Vittorio Taviani, David Cronenberg, Terrence Malick, Michael Cimino, Francis Ford Coppola e David Lynch.

IL SOMMARIO DEL NUMERO

MAESTRI 1
Gianni Amelio in conversazione con Fabrizio Tassi – Una vita al Politeama   
Politeama è, oltre al titolo del romanzo di esordio di Gianni Amelio, anche il nome del primo cinema in cui egli abbia mai messo piede. Da quei primi incontri con le ‘regole affabulatorie’ della settima arte, proseguendo con l’arrivo a Roma per scrivere in veste di ‘negro’ (oggi si direbbe ‘ghostwriter’), con il lavoro in televisione e, infine, col vero e proprio esordio dietro la macchina da presa, il regista di Lamerica e del Ladro di bambini si racconta a MicroMega. E coglie l’occasione per parlare anche del cinema altrui, illustrando il proprio punto di vista di critico e spettatore.

William Friedkin in conversazione con Federico Pontiggia – Un regista leggendario (suo malgrado)
Ha rivoluzionato il poliziesco negli anni Settanta con Il Braccio violento della legge, poi ha cambiato per sempre volto all’horror con L’esorcista. Oltre a film che hanno fatto la storia del cinema, ha diretto anche opere, soprattutto Puccini: “Chiunque possa ascoltare la musica non può non amare Puccini: la sua musica è così sublime, bella, non va spiegata, solo amata, adorata”. William Friedkin è un regista che ha influenzato generazioni di cineasti, chi meglio di lui per prendere il polso al cinema contemporaneo, soprattutto quello americano?

Steven Spielberg in conversazione con Filippo Brunamonti – L’immaginazione al potere   
Ha firmato alcuni tra i film più popolari della storia del cinema, è considerato uno dei registi viventi più importanti, le sue pellicole hanno popolato l’immaginario di generazioni di spettatori. L’elenco della sua filmografia è sterminato, con incursioni in tutti i generi: dalla fantascienza con E.T. alla storia con Schindler’s List, al fantasy con GGG. In questa conversazione spiega il suo rapporto con la storia e quello con la tecnologia. E racconta il suo incontro con Fellini.

SAGGIO 1
Roberto Nepoti – Lo stile è il messaggio   
Da Dardenne a Brizé, da Loach a Mungiu, quattro registi impegnati che utilizzano strategie comunicative differenti a dimostrazione che il cinema è sostanzialmente una questione di sguardi: veri motori dell’illusione filmica, nonché veicoli privilegiati dell’attività cognitiva e valutativa dello spettatore. Per parafrasare Marshall McLuhan, potremmo quindi dire che ‘lo stile è il messaggio’ e che, oggi, si pone con urgenza la necessità di rifondare un’etica del linguaggio.

ICEBERG 1 – cinema e potere
Lav Diaz in conversazione con Giona A. Nazzaro – Cambiare il cinema per cambiare la storia  
Il lavoro cinematografico di Lav Diaz è legato a doppio filo con la storia e il destino del suo tormentato paese, le Filippine. Un discorso sul potere, il suo, che chiede allo spettatore di mettersi in gioco e quindi trasformarsi da spettatore, per lo più passivo, in testimone attivo. Il cambiamento agognato da Diaz non può che avvenire attraverso una metamorfosi del cinema in quanto strumento per raccontare attraverso le immagini. Accettare le forme note, ufficiali, significa di fatto legittimare i racconti che attraverso di esse si realizzano (e di conseguenza accettare le storie ‘ufficiali’).

Ken Loach in conversazione con Mario Sesti – Il mio cinema operaio crede in Corbyn
L’ultimo degli arrabbiati, Loach è forse l’unico ancora in attività a fare un cinema all’altezza delle ambizioni e degli ideali degli anni Settanta: non gli interessa il cinema come intrattenimento se non gli è d’aiuto a restituire a chi soffre almeno il risarcimento dell’attenzione della coscienza di un pubblico. Ce l’ha con la Thatcher come con Blair, rei di aver compiuto le stesse politiche liberiste. E il suo ultimo film, Io, Daniel Blake, perfeziona a un grado di ulteriore rifinitura la denuncia sociale e il grottesco delle amministrazioni pubbliche, il dramma della working class e la sua capacità d’ironia.

Mimmo Calopresti in conversazione con Federico Chiacchiari – In mezzo al fango, per capire
Da Tutto era Fiat a La fabbrica fantasma, la fabbrica è forse il filo conduttore principale dei suoi film, un luogo dove gli operai hanno fatto la storia, che oggi però è diventato appunto un fantasma, un non-luogo dove ciò che viene replicato è solo lo sfruttamento del lavoro (globalizzato) ma che non rappresenta più l’occasione per una soggettività operaia. In questa parabola c’è forse tutto il lavoro di uno degli autori più ‘impegnati’ del cinema italiano, per il quale il tema centrale è la salvezza: “Bisogna dare la possibilità alle persone di salvarsi da questo sistema”.

ICEBERG 2 – nuovo cinema italiano
Claudio Giovannesi e Gabriele Mainetti in conversazione con Mario Sesti – Cinema in libertà
Tra i film italiani usciti nel 2016, due in particolare si sono fatti notare per il grande successo riscosso e l’originalità dello stile: Lo chiamavano Jeeg Robot, di Gabriele Mainetti, e Fiore, di Claudio Giovannesi. MicroMega ha invitato i due registi emergenti al confronto, facendoli dialogare sui rispettivi modi di fare cinema e spingendo entrambi a ripercorrere il tortuoso viaggio che, partendo da un’idea, si conclude con il prodotto finale consegnato nelle mani del pubblico.

Matteo Rovere Cosimo Alemà Irene Dionisio in conversazione con Giona A. Nazzaro – Nuovo cinema ‘melting pot’  
La vulgata vuole che il cinema d’autore non possa essere anche cinema di genere, e che anzi il ‘genere’ sia il rifugio di registi che sono solo tali, ma che mai possono essere considerati ‘autori’ perché le regole del genere dominerebbero sullo sguardo autoriale. Eppure c’è una nuova generazione di registi-autori che spariglia le carte, che non rinuncia al proprio personalissimo sguardo sulla realtà ma non teme di usare, rimescolandoli, tecniche e strumenti tipici dei diversi generi. Una conversazione con i protagonisti di questa nuova tendenza del cinema italiano.

Claudio Santamaria in conversazione con Giacomo Russo Spena – Non solo Jeeg Robot
Era sul palco grillino per sostenere Virginia Raggi e nel referendum si è impegnato per il NO alla riforma costituzionale. Ha vinto nel 2016 il David di Donatello come miglior attore protagonista con Lo chiamavano Jeeg Robot. Claudio Santamaria è l’attore italiano del momento. Apprezzato per le sue enormi doti mimetiche e per la versatilità con cui passa da un genere all’altro, nei suoi film cerca sempre di dar voce agli emarginati: “Mi piace interpretare protagonisti che rappresentano il riscatto sociale contro un sistema ingiusto”.

PICCOLO GRANDE SCHERMO
Mario Sesti – Venti serie in cerca d’autore   
Una delle caratteristiche che accomunano alcune delle nuove serie tv di più grande successo è la rivisitazione di grandi classici del cinema. “È come se la diffusione e la prosperità delle serie avesse trasformato l’immaginario storico del cinema nell’oggetto di un repertorio da sottoporre all’ermeneutica infinita dell’alta definizione narrativa dello storytelling di 10 o 12 puntate a stagione, capace di sfondare ogni plot nella prospettiva illimitata del prequel o del sequel, o semplicemente di rileggere ogni testo chiuso all’insegna di una proliferazione inarrestabile del senso di ogni narrazione”.

SAGGIO 2
Flavio De Bernardinis – Edipo e Medea. L’enigma della cultura cinematografica italiana
Nel nostro paese esiste il cinema, oppure esistono solo i film? Il cinema incide sulla società? Il pubblico ha ancora un ruolo? E un ‘autore’ oggi è considerato un intellettuale capace di affondare lo sguardo oltre le apparenze? Un excursus storico per aiutarci a capire l’istituzione cinematografica, se essa permanga e come possa incidere sulla società italiana. Perché il critico deve risultare principalmente un educatore del pubblico.

MAESTRI 2
Oliver Stone in conversazione con Federico Pontiggia – Il mio cinema contro l’Impero
In una lunga intervista concessa a MicroMega, il regista di Platoon e di JFK racconta il suo cinema, da sempre in prima fila nel mettere in discussione le versioni ufficiali e di comodo. Sullo sfondo, la consapevolezza di vivere in un paese che, per mantenere la propria egemonia, non ha esitato negli ultimi decenni a violare diversi trattati internazionali, entrando in contrasto con le stesse Nazioni Unite e comportandosi da ‘poliziotto del mondo’. Una politica estera che, all’interno del paese, trova come suo necessario corrispettivo il tentativo di instaurare un ferreo regime di controllo dell’informazione, delle vite e delle menti dei cittadini.

Pablo Larraín in conversazione con Mario Sesti – Per un cinema ‘irresponsabile’ (dunque politico)   
Forse negli anni Cinquanta-Sessanta aveva senso un cinema esplicitamente e didascalicamente politico. Oggi invece l’impegno del cinema sta nel suo essere ‘irresponsabile’, nella sua capacità di raccontare la realtà senza voler fare proselitismo o inviare particolari messaggi. La macchina da presa non deve chiedere perdono di nulla, deve cercare di capire un contesto. Così almeno la pensa uno dei registi più significativi dell’attuale panorama cinematografico, autore di pellicole come Post Mortem, Neruda e Il club.

Denis Villeneuve in conversazione con Federico Pontiggia – Cinema di genere, cinema d’autore  
Caratura umanista, attenzione introspettiva, tensione empatica, affondo morale: quello di Villeneuve possiede tutti i crismi del cinema d’autore senza intellettualismi. Allo stesso tempo il regista canadese si cimenta con i generi più disparati, dal thriller alla fantascienza. E sul ‘peso’ dei padri del cinema dice: “Quando faccio un film, cerco di dimenticare quanto è stato fatto e di provare a fare come se fossi il primo, anche se è un’enorme bugia senza senso. Ma la tensione rimane: tagliare ogni riferimento cinematografico, eludere le eredità”.

Alejandro Jodorowsky – Psicomagia del cinema
A 87 anni, Alejandro Jodorowsky non sembra affatto intenzionato a tirare il freno della sua intensa avventura esistenziale, dispiegatasi fra mille forme creative, due continenti e decine di imprese artistiche. Un itinerario che il regista cileno naturalizzato francese ha voluto ripercorrere in un affollatissimo incontro svoltosi al Festival di Locarno nell’agosto del 2016. Del lungo discorso tenuto da Jodorowsky in quell’occasione pubblichiamo di seguito alcuni stralci.

www.micromega.net

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