Il cinema non basta più, Uno per tutti, di Mimmo Calopresti

Calopresti dimostra con un film “meravigliosamente non riuscito” che oggi il cinema ha bisogno di altri spazi, altri formati, altri contenitori, altri linguaggi.

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Sorprende Mimmo Calopresti, e già questa, in un cinema italiano sempre più paludato e prevedibile, è una gran qualità, di questi tempi. Ma sorprende con grande coraggio e disponibilità a mettersi in gioco, proprio nel volere uscire fuori dai comodi confini del fin troppo consolidato, narrativamente, “cinema d’autore”. Come se per liberarsi del cappio mortale che stringe al collo il nostro cinema lo si dovesse tradire, magari inevitabilmente andando poi a scontrarsi con le difficoltà di stare al passo con le narrazioni forti di questi anni.

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All’origine c’era il bel romanzo di Gaetano Savatteri, che deve avere sedotto non poco Calopresti. Doppia narrazione, anni sessanta e giorni nostri. Storie di migrazione, di ragazzi che crescono nelle periferie del Nord. Storie di amicizie giovanili, ma anche di tragedie, di persone che si perdono e poi, per una notte, ormai adulti, si ritrovano. Tre amici d’infanzia che si rincontrano perché uno di loro, il leader fondatore del loro gruppo da ragazzi, è in bel pasticcio, e ha bisogno di loro. Il tutto dentro le coordinate dell’immaginario meridionale (il protagonista é siciliano) trasferito nelle desolanti tristi periferie dell’hinterland milanese negli anni del boom economico.

isabella ferrari e lorenzo barone in uno per tuttiInsomma una storia che sembrava, fin troppo, appiccicata addosso a Calopresti, quasi un viaggio parallelo nell’immaginario della sua infanzia di figlio di immigrati calabresi.
E la storia prende, con a tratti delle belle atmosfere che, nei momenti migliori, ricordano un po’ La rimpatriata (magnifico film sulla nostalgia di Damiano Damiani, con un grande Walter Chiari), un po’ uno dei migliori film di Spike Lee, La 25a ora. Tutte storie concentriche, ambientate in una notte o in un ultima giornata prima di andare (o non andare) in galera.

fabrizio ferracane in uno per tuttiEbbene, cosa fa Calopresti con questo prezioso abito narrativo che gli sta cucito addosso fin troppo a perfezione? Come ogni abile cineasta, mette da parte il proprio ego, e “magnificamente” lo tradisce. Prende un racconto biografico, tra lo storico e il nostalgico, e lo trasforma in una sorta di polar, sposta geograficamente la storia in una Trieste mai vista così, con una luce che sembra tagliarla in due, il mare gelido che pare attraversare i corpi, i vicoli del centro storico che sembrano invece ingoiarli, le zone alte delle ville lussuose della città, dove vive Gil, il protagonista (Fabrizio Ferracane), che richiamano alla mente quel bisogno di passare di ceto, di – a tutti i costi – non voler rivivere le durezze delle vite dei propri genitori. Il personaggio principale del romanzo, il narratore, sparisce, per poi ricomparire con un altro nome (Saro) e lavoro (non più scrittore ma medico), solo come uno dei tre amici (il terzo è Vinz, il poliziotto, interpretato da un Panariello molto understatement). Non solo sparisce il punto di vista della storia, ma questa si arricchisce fortemente della presenza di personaggi che, nel libro, erano appena evocati. Protagonista diventa la donna di Gil, amore d’infanzia di Saro, e soprattutto i ragazzi, il figlio che si ritroverà al centro dell’intrigo completamente reinventato dalla sceneggiatura scritta a quattro mani con Monica Zappelli.

Ecco che i personaggi si moltiplicano, come si moltiplicano gli sguardi, i punti di vista. Calopresti sembra, non troppo paradossalmente per chi conosce il suo percorso cinematografico, più interessato a lavorare cui corpi e sui volti di questi ragazzi perduti, che si ritrovano in scontri di piazza più per infatuazioni amorose giovanili che non per passione politica, ma che sembrano tracciare una linea di demarcazione definitiva tra la generazione nata nell’era del boom economico e i figli del nuovo secolo. I ragazzi sembrano osservare le derive degli adulti, i loro matrimoni falliti, le aspirazioni di vita che hanno trovato canali diversi, chi fa il medico, chi il poliziotto, chi l’imprenditore mezzo gangster, tutti corpi adulti ormai irrecuperabili alla loro stagione migliore…ecco i ragazzi li osservano come fossero degli alieni, con mamme apprensive e appiccicose e padri assenti e troppo concentrati sulle loro ambizioni di classe.
imagePoi però Calopresti non sembra farcela ad andare fino in fondo, ad abbandonare personaggi e attori (e la produzione…) per giocare solo con i corpi dei ragazzi che fuggono disperati tra i container del porto, tutta un’altra storia (possibile). Non ce la fa un po’ per limiti produttivi (il film non ha la ricchezza per permettersi il doppio binario temporale e ai ragazzi degli anni sessanta sono riservati solo dei flash), un po’ perché Mimmo appare consapevole dei limiti della narrazione cinematografica tradizionale per raccontare i nostri giorni, ed è come se il film, con tutte queste storie sotterranee da raccontare, avesse bisogno di un respiro diverso, più lungo, quasi da serialità televisiva americana.

Alla fine il film risulta un magnifico incompiuto, uno sperimentale vuoto a perdere, né cinema d’autore, né fiction, né serie tv, ma neppure dramma generazionale o giovanile,, o film nostalgico sui tempi che furono. Oppure un pò di tutto questo miscelato in chiave random, come se a Calopresti stesse stretto il contenitore attuale, tanto stretto da – a quel punto – scegliere di fare un film breve, come se comunque in questo formato questa storia potesse essere solo un pilot, un accenno di qualcosa che potrebbe essere (ma che invece non è…).

Dopo quasi otto anni dal precedente film, Calopresti sembra scontare sul proprio corpo di cineasta (in un curioso e buffo cameo infatti cerca disperatamente di prendere a pugni un sacco da boxe, metafora del (suo) cinema?) le sue stesse aperture ai nuovi linguaggi (new doc, web, ecc..), dimostrando con un film “meravigliosamente non riuscito” (deviato e deviante, quasi un progetto per il futuro) che oggi il cinema ha bisogno di altri spazi, altri formati, altri contenitori, altri linguaggi. Mimmo sembra avanguardisticamente pronto ma lo è il sistema produttivo italiano?

Regia: Mimmo Calopresti

Interpreti: Isabella Ferrari, Fabrizio Ferracane, Giorgio Panariello, Thomas Trabacchi

Distribuzione: Microcinema

Durata: 85′

Origine: Italia 2015

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