Il colpo del cane, di Fulvio Risuleo

Risuleo continua a reinventare la rappresentazione e la narrazione di Roma, liberando il canone del periferia movie e i suoi volti più riconoscibili con l’abituale capacità combinatoria

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Fulvio Risuleo continua a voler reinventare le traiettorie della rappresentazione e della narrazione di Roma: se in Guarda in alto il movimento era ascensionale, stavolta Il colpo del cane è in grado di slittare impercettibilmente e senza soluzione di continuità tra l’Esquilino, Piazza Vittorio, Colle Oppio (sempre più centro del racconto alternativo della Capitale) e una periferia di discariche di imbarcazioni e torrette in rovina che si stagliano su pascoli di pecore.
La vicenda in cui è incastrato il personaggio di Edoardo Pesce è puro storytelling da nuovo cinema di quartiere capitolino: degrado e decadenza sia privata che sociale, diffusa, problematiche familiari ed economiche, una svolta criminale per necessità, e quasi per caso. La maniera in cui Risuleo decide di liberare questo canone, trasformando questo metallaro di borgata in un assurdo villain da film di Blake Edwards, è probabilmente il gesto più prezioso tra i numerosi interventi che il regista opera all’interno della sua nuova sciarada.
Nel suo approccio alla forma del lungometraggio, l’autore di Reportage Bizarre e Il caso Ziqqurat sembra voler costantemente tentare delle aperture che avvicinino il linguaggio filmico a quello dei suoi esperimenti più liberi e combinatori: qui, la progressiva mutazione del quotidiano in fantastico è incarnata dal destino degli animali domestici, sia il bulldog francese del titolo che i pappagalli fuggiti e rifugiatisi tra le chiome del verde dell’Urbe, o appunto il gregge di pecore.
E’ chiaro che la struttura per microsezioni “sospese” e riassemblabili a piacimento costringa l’elettricità dell’insieme ad una corrente ad intermittenza, come il blackout ritornante dell’incipit, ma è più che altro una maniera per svelare la natura letteralmente eccentrica di una storia che se non fosse film potrebbe rinascere (o resuscitare, come Ugo…) in mille forme diverse, da quelle seriali a quelle più frammentarie ed istantanee.

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E allora ridisegnare il segno di volti fortemente legati al periferia movie più blasonato e riconoscibile (accadeva già allo Giacomo Spadino Ferrara di Guarda in alto), tra Caligari, Garrone e Giovannesi, come il già citato Pesce, e la coppia composta da Silvia D’Amico e Daphne Scoccia reimmaginate come fossimo in un videoclip di Die Antwoord, è una scelta che rinnova la cocciuta volontà di Fulvio Risuleo di trovare una posizione che veicoli un immaginario orgogliosamente tutto proprio (affine ma non asservito agli stilemi formali “giovanili” di Tim Vision), slegato da tradizioni e passaggi forzati.

L’intuizione cruciale e necessaria (non a caso da parte di un fumettista nonché appassionato retrogamer), al di là della riuscita o meno dei singoli sforzi, è che l’apparato immaginifico dialogante del contemporaneo si basi su narrazioni multidimensionali, universi espansi anche quando piccoli come due appartamenti con le camere da letto divise solo da muri sottili, livelli paralleli esponenziali come l’abissale istante in cui Edoardo Pesce lascia intendere di essere il reale autore dell’intera vicenda, raccontandola agli amici come la trama del libro a cui sta lavorando, per farsi suggerire il finale giusto.

Regia: Fulvio Risuleo
Interpreti: Edoardo Pesce, Silvia D’Amico, Daphne Scoccia, Anna Bonaiuto
Distribuzione: Vision Distribution
Durata: 93′
Origine: Italia, 2019

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
2.8 (5 voti)
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