Il complotto di Chernobyl – The Russian Woodpecker, di Chad Gracia

Emozioni confluite in una tensione documentaria insolita, davvero un’opera di testimonianza, di elaborazione di un trauma che fino ad ora si è nutrito, a quanto pare, di risposte sbagliate.

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Il 1986 è stato un terribile anno per la storia della civiltà: il 26 aprile nei pressi della cittadina di Chernobyl si è consumato il più grave incidente nucleare mai verificatosi nella storia dello sfruttamento dell’uranio per la produzione energetica, incidente che ha avuto gravi conseguenze nella vita quotidiana degli abitanti delle zone limitrofe (e non solo) che hanno dovuto abbandonare case, separarsi dai figli e fare i conti con il male radioattivo. Fedor Alexandrovich è un artista ucraino figlio di quegli eventi, cresciuto con il trauma causato dalla paura di essere separato dalla propria famiglia e dalla coscienza di “essere radioattivo”. L’interesse personale, oltre che artistico, con cui ha (ri)vissuto quegli eventi l’ha portato ad indagare per capire che cosa fosse successo davvero a Chernobyl. Questa ricerca lo porta a parlare con molti personaggi coinvolti professionalmente al tempo del funzionamento della centrale nucleare e con altri esperti in materie scientifiche. Ma soprattutto la sua ricerca lo porta a scoprire la Duga, una gigantesca antenna costata cifre esorbitanti e costruita con l’intento di interferire con le comunicazioni occidentali per infiltrarle di propaganda sovietica, struttura che non è mai riuscita a funzionare come avrebbe dovuto – se non per quel famoso disturbo causato nei ricettori radio del mondo chiamato “Picchio rosso” –, questione che potrebbe essere alla base del terribile incidente che quindi sarebbe stato ordinato da qualcuno per oscurare qualcos’altro..

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Chad Gracia, eclettico storyteller, si cimenta per la prima volta nel genere documentario (che gli è valso il Gran Premio della Giuria al Sundance) con un film che pare essersi imposto alla sua volontà: dapprima immaginato come un’inchiesta tradizionale dalla breve durata, si è poi trasformato in un’opera calda, anzi caldissima, bollente, che è andata a toccare dei tasti oscuri e finora inviolati della storia dell’Unione Sovietica (che ancora sembrerebbe non aver smesso di respirare).

Il film si muove su un doppio binario: quello storico dedicato all’Ucraina e ai suoi mali (di cui l’incidente è solo l’ultimo, vengono ricordati anche gli anni Trenta nei quali molta gente non è sopravvissuta alla fame), e quello più folle dedicato alla figura di Fedor, l’artista matto che a causa della sua personalità esondante e provocatrice, è alla base dei reali interessi di Garcia. Il film ha poi finito per entrare nelle vite dei suoi realizzatori e soprattutto in quella di Fedor che ha visto la sua famiglia minacciata. La paura e la censura hanno fatto sì che a un certo punto il lavoro prendesse una direzione alquanto inimmaginata e inquietante: il regista e l’artista hanno iniziato a sospettare l’uno dell’altro e a spiarsi a vicenda grazie a GoPro nascoste, con la paura che ognuno stesse girando un film parallelo, emozioni confluite in una tensione veramente insolita, accentuata dagli eventi rivoluzionari e geopolitici che hanno attraversato Russia e Ucraina nei giorni delle riprese. E dunque, davvero un’opera di testimonianza, di elaborazione di un trauma privato e collettivo che fino ad ora si è nutrito, a quanto pare, di risposte sbagliate.

Titolo originale: The Russian Woodpecker

Regia: Chad Gracia

Interpreti: Fedor Alexandrovich, Artem Ryzhykov, Andrei Alexandrovich, Elena Yagodovskaya

Distribuzione: I Wonder Pictures

Durata: 82’

Origine: Ucraina, Gran Bretagna, Usa 2015

 

 

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