Il coraggio di un cinema diverso: conversazione con Gianni Romoli (parte seconda)

Incontro con uno delle figure più interessanti del cinema italiano. Dai Cineclub e l'esperienza di Massenzio, passando per le sceneggiature per Corbucci e poi produttore/autore di film come "Le Fate Ignoranti" e "La Finestra di Fronte": visitatore dei generi, poeta e teorizzatore della felicità "diversa", ma anche e soprattutto di un diverso cinema.

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2a parte

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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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Tornerebbe a lavorare con Argento? E se si, lavorerebbe più a un thriller o a un horror?


 


Ormai – per il momento e finché mi va bene – scrivo solo film che produco io stesso e quindi è difficile che potrei scrivere di nuovo un film di Dario, visto che anche lui è produttore di se stesso. Se proprio capitasse io non mi tirerei indietro e sicuramente opterei, anzi pretenderei, un horror.


 


Secondo lei perchè è morto il cinema di genere in Italia?


Per tanti motivi: storici, economici, sociali. La televisione ha inghiottito il genere trasformandolo in serialità. L'horror poi soprattutto ha bisogno di essere vietato, trasgressivo, sperimentale: tutte cose per cui è difficile ormai trovare i soldi. Il Cinema in "sala" ha bisogno di grossi budget per attirare il pubblico e quindi il "genere" o "filone" (per essere più precisi in Italia si sono sempre fatti film di un "filone" non di un "genere") hanno bisogno spesso di "piccoli" budget più adatti a una produzione televisiva che però non reggerebbe la forza dirompente del genere, soprattutto se "puro". E poi per dirla tutta gli unici due veri generi italiani bene o male sopravvivono e sono: La Commedia e Il Film d'Autore e tutte e due sono stati generati dalla dittatura (anche dovuta alla "critica") del Neorealismo. La Commedia nasce dal Neorealismo "rosa" e sfocia in Totò ma anche in Dino Risi. Ieri c'era lui, Monicelli, Comencini, Steno ma i film erano 'di' Sordi, Tognazzi, Gassman, Giannini…insomma si andava a vedere un film dell'Attore (anche se alle spalle avevano fior di autori). Oggi si continua ad andare a vedere i film di Benigni, Pieraccioni, Aldo Giovanni & Giacomo (anche se alle spalle non hanno più gli autori). Così come, sull'altro fronte, ieri c'erano Fellini, Visconti, Pasolini, Rossellini, De Sica, Ferreri e tanti altri. Oggi si va a vedere il nuovo film di Bellocchio, Giordana, Ozpetek, Muccino e gli altri. In mezzo manca il prodotto medio, quello che si strutturava in "filoni", cioè dei microgeneri che nascevano per gemmazione dal successo di un film: come i thriller alla Dario Argento (con gli animali nei titoli); i peplum; il western italiano, eccetera. Noi siamo arrivati alla paralisi da questo punto di vista. Per il "genere" e l'horror in particolare ormai si guarda o al Cinema del Far Est, soprattutto asiatico, o alla Spagna, alla Francia, alla Germania. Per ricominciare bisogna sparare in alto: fare nuovi film horror ad alto budget, magari con una forte commistione di genere e forse facendoli in inglese per trovare i soldi anche all'estero. Ma qualcosa sta succedendo: già questa stagione sono pronti molti film che occhieggiano al genere. Penso al nuovo film di Alex Infascelli ("Il Siero delle Vanità") o a quello di Eros Puglielli ("Occhi di Cristallo"). Basta aspettare che escano e vederli per capire se è già in atto un ritorno e se è in grado di generare una tendenza.


 

Come avverte il passaggio dalla sceneggiatura alla regia? è un fatto naturale?



 No, assolutamente. Non è detto che un bravo sceneggiatore sia un bravo regista o un regista "mancato". Io ho sempre evitato di cimentarmi con la regia per motivi del tutto personali e autobiografici. Ho sempre cercato di non confrontarmi in modo diretto con il mondo esterno, di cui evidentemente ho paura e mi sono sempre nascosto o nel lavoro di gruppo (cineclub, festival) o scrivendo per qualcun altro. La mia creatività ha bisogno di un giudice esterno, su cui mi illudo di avere il controllo. Come un diplomatico preferisco lavorare ai fianchi o nascosto dietro le quinte. Se mai girerò un film – e forse potrebbe succedere – non sarà per iniziare una nuova "carriera" o un nuovo lavoro ma solo per fare un esperimento soprattutto su me stesso. Diciamo: per fare una esperienza terapeutica. Mi rendo conto che è un "lusso". E infatti se lo farò sarà solo se potrò permettermelo. E senza "inguaiare" nessuno. Quindi autoproducendomi.


 


Ci parla del suo rapporto con Ozpetek? Perchè le piace questo regista? Come lo ha conosciuto? E come nasce e si sviluppa il vostro modo contiguo di vedere il cinema?


 


Ho conosciuto Ferzan nel 1984. Me l'ha presentato Maurizio Ponzi, di cui era l'aiuto regista. Fu durante una delle ultime Rassegne di Massenzio di cui avevo curato la programmazione, quella che si svolse all'Eur. Regalai a Ferzan e a Maurizio una "tessera d'oro" per poter entrare gratis a tutte le proiezioni e così Ferzan venne quasi tutte le sere e cominciammo a diventare amici. Eravamo tutti e due già dei professionisti nel cinema, anche se lavoravamo in settori diversi, ma tutti e due ancora abbastanza agli inizi. Lui lavorava soprattutto solo per Ponzi e io solo per Corbucci. Così cominciammo ad aiutarci anche a vicenda, presentandoci scambievolmente gente di cinema che ognuno dei due conosceva. Poi cominciammo ad invitarci reciprocamente a cena, condividendo anche le nostre rispettive "famiglie" private e tutti gli amici che non c'entravano niente con il cinema. Nonostante l'incontro avvenuto durante una rassegna cinematografica, presentati da un regista, la nostra amicizia però non è stata una amicizia "cinematografica": quello era il "nostro" lavoro e la nostra passione, ma l'amicizia si sviluppò sulla vita reale, su vacanze, amicizie in comune, viaggi, chiacchiere, confidenze di pene d'amore, aiuti reciproci (anche economici) insomma su tutte quelle cose che formano l'amicizia di tutti, più o meno. Tanto è vero che quando Ferzan decise di fare il gran passo dall'aiuto regia alla regia e mi chiese di scrivere insieme a lui "Il Bagno Turco" io mi rifiutai. Proprio perché eravamo amici al di fuori del cinema, avevo paura che un eventuale insuccesso del suo tentativo avrebbe potuto minare il nostro rapporto. Però gli fui molto vicino, dandogli consigli, seguendolo per telefono anche durante le riprese del film. Sono stato il primo, insieme a Tilde Corsi, a vedere a Cinecittà il primo montaggio del film, che mi piacque da subito. Ci mise cinque anni di tentativi per riuscire ad arrivare a farlo e poi una volta finito non riusciva nemmeno a trovare un distributore a cui piacesse. Fu un periodo nero per lui e io lo aiutai insieme a Tilde dandogli un lavoro per andare a fare una ricerca di location in Turchia per una serie televisiva sui Miti greci che poi però non si realizzò mai. Dopo il successo del suo primo film non ebbi più scupoli: Ferzan aveva già dimostrato di saper girare e quindi io ero libero di poter scegliere se scrivere per lui o no. Per questo decidemmo di continuare insieme e tutt'ora lo facciamo, anche se il lavoro (come in qualche modo prevedevo) ha attutito o modificato il rapporto di amicizia. Non so se in senso negativo o positivo, ma è un fatto che da quando lavoriamo insieme, piano piano abbiamo iniziato a frequentarci sempre di meno a livello privato. Ma è abbastanza normale. Già ci si vede così tanto per il lavoro che alla fine vedersi privatamente troppo significa un po' anche portarsi i "compiti" a casa. Non abbiamo un modo "contiguo" di vedere il Cinema, non ci piacciono nemmeno sempre gli stessi film. Anche professionalmente siamo molto diversi. Lui  parte sempre dalla Realtà per rintracciare quelle emozioni che poi vuol portare sullo schermo, io invece parto sempre dal Cinema. Lui è più realista, io più manierista. Quando scrivo i suoi film però cerco sempre di scrivere in funzione più del suo mondo che del mio. Lui non scrive, ma interviene pesantemente sulla sceneggiatura. E' un perfetto "editor": taglia, accorcia, corregge, precisa. Ferzan è un regista che mette al primo posto gli attori; io tendo come gusto a mettere al primo posto la "macchina da presa". Queste differenze però sono un vantaggio e forse uno dei segreti del successo. Le reciproche differenze arricchiscono il film, che finisce per avere un doppio strato, il suo e il mio. E se io mi sento molto "autore" delle storie e di tutto quello che è scritto devo però essere molto sincero nel dire che la "regia" dei suoi film è tutta opera sua. Per quanto io sia sempre presente sul set dei suoi film, lo sono sempre solo ed esclusivamente come sceneggiatore. Anche sulla pagina non mi sono mai permesso di suggerire un movimento di macchina o una inquadratura, un taglio di montaggio o una ellissi. E nel dubbio tra due opinioni diverse su una scelta alla fine penso che sia giusto lasciare prevalere la sua, a meno che (ma è successo raramente) non sono fermamente convinto che sta sbagliando.

Le Fate Ignoranti e La Finestra di Fronte sono due film con trame significative e finalmente (cosa che scarseggiava nel cinema italiano dell'ultimo decennio) con un forte retaggio culturale e un messaggio umano… Come nascono queste due sceneggiature, come ha fatto l'alchimista Gianni Romoli a far ritrovare al nostro cinema il lato più umano, a farlo indagare nella diversità


 


E' molto difficile rispondere dando per scontato che quello che ho fatto sia considerato così positivo. Posso soltanto accennare al mio metodo di base quando scrivo. Io generalmente ho tre regole fondamentali, che sono anche semplici regole di sopravvivenza: grande cura del soggetto; approccio "amatoriale" e non rigidamente professionale alla sceneggiatura; profonda conoscenza del regista che dirigerà il film. Lavoro molto sul soggetto, dall'idea iniziale fino alla stesura di un soggettone lungo, per vedere se la storia tiene, "frutta" e significa. Poi salto la fase della scaletta perché voglio arrivare abbastanza libero alla prima stesura. Se so già tutto perdo l'emozione e la voglia.  Voglio illudermi che sia la sceneggiatura a portare me e non io lei: mentre scrivo mi devo sorprendere ed emozionare. Devo sbagliare perché spesso l'errore contiene l'azzardo e la novità. Ovviamente questo genera spesso un mostro obeso, anarchico, dilagante ma vivo e carico di sorprese. Si tratta poi di riscalettarlo, raffreddarlo, ridurlo, riconsegnarlo più razionalizzato. Quindi molte revisioni da "professionista". Conoscere bene il regista e collaborare strettamente con lui – sia che scriva sia che non scriva – mi permette poi di mediare all' origine il mio punto di vista con il suo, perché tanto poi alla fine è lui che, girando e montando il film, ha l'ultima parola. Quindi è più prudente iniziare da subito a fare il "suo" film, salvando il più possibile di se stessi ma diventando anche un po' Zelig. La stessa storia scritta da me, ma per registi diversi, genererebbe sceneggiature diverse. Da questo metodo sono nati anche "Le Fate Ignoranti" e "La Finestra di Fronte". Il fatto che questi film abbiano portato in superficie il lato più umano e abbiano indagato sulla diversità non dipende solo da me ma anche da Ozpetek e dalla natura stessa dei soggetti che avevamo deciso di raccontare. Forse il merito è nella scelta di partenza più che nel punto d'arrivo.   


 


C'è un tipo di film o un regista che attualmente non le piace proprio o non lo ispira?


 


Non posso rispondere a questa domanda perché sono uno spettatore onnivoro e molto poco critico. Mi piace quasi tutto quello che vedo. Spesso anche in un film che non mi piace nel suo insieme trovo però sempre stimoli, inquadrature, gesti, situazioni, frasi, insomma dei dettagli che mi intrigano. Per questo difficilmente boccio totalmente qualcuno. I miei amici non mi chiedono nemmeno più un giudizio su un film perché ormai sanno benissimo che li salvo tutti. E io stesso preferisco andare al cinema da solo per non dovere a fine film sorbirmi i commenti e i giudizi. Mi abbandono al film, mi affido, mi lascio manipolare. Non sono di quelli che mentre vedono un film "giallo" cercano di indovinare l'assassino. Io i film li vedo in modo molto passivo e infantile, ancora ci entro dentro, li "abito". E mi piace qualsiasi genere, spesso ne vedo anche tre al giorno e non faccio differenza tra film d'autore o d'attore o di serie. Possono piacermi nello stesso modo (ma per ragioni completamente diverse) un film di Kiarostami o di Aldo Giovanni & Giacomo o di Van Damme. Non ho pregiudizi, limiti, costrizioni. Quindi sono inattendibile nei giudizi e poco razionale. Ma mi diverto molto al cinema. E' quasi ogni volta una esperienza erotica. Sono un "voyeur" totale.

Perché alla critica è piaciuto, secondo lei, più la storia d'amore e di diversità de "La Finestra di Fronte" che il messaggio popolar mediatico di "Ricordati di Me" di Muccino? Erano due film, che seppur sviluppati diversamente, si concentravano attorno alla famiglia… Quanto è importante ed è consistente per lei la famiglia?


 


Se mi ricordo bene – e mi ricordo – il film di Muccino ha avuto critiche ottime, migliori delle nostre, e una partenza sfolgorante. "La Finestra di Fronte" ha avuto critiche buone e sui tempi lunghi è piaciuto molto di più al pubblico del film di Muccino. Ma Gabriele partiva svantaggiato perché aveva alle spalle quel successo mastodontico che era stato "L'Ultimo Bacio" e quindi tutti si aspettavano da lui che lo superasse. Cosa molto difficile anche perché "Ricordati di Me" aveva il torto di assomigliargli troppo come struttura e di avere un messaggio di fondo molto cupo e poco consolatorio. La "famiglia" di Muccino ne usciva fatta letteralmente a pezzi. "Le Fate Ignoranti" era stato un grande successo inaspettato e recuperato a posteriori dalla critica, che all'inizio lo aveva trattato abbastanza male. Quindi "La Finestra di Fronte" aveva meno pesi sulle spalle e un amore per i suoi personaggi che permettevano in qualche modo di far passare un finale in fondo triste per un "happy end", insomma come una iniezione di speranza per lo spettatore. E poi era un film molto diverso come tono e struttura dal suo precedente. La famiglia di Ozpetek è poi sempre una famiglia per "scelta", e la scelta è sempre determinata dall'amore. Quando Giovanna decide di non seguire Lorenzo non è per tornare dalla famiglia, ma perché ha capito che il disagio che provava era dentro di lei, non nel mondo che la circondava, era nelle scelte rinunciatarie che aveva fatto. La forza di Giovanna è quella di scegliere di cambiare, senza rinunciare a quello che fino a quel momento si era costruita. Non era un dilemma su chi scegliere tra marito e amante. L'uomo della finestra di fronte non è reale, è una proiezione delle sue frustrazioni. Giovanna cambia la sua vita decidendo di licenziarsi e di ricominciare da capo con un lavoro che le piace. Se avesse scelto di seguire Lorenzo a Ischia avrebbe solo di nuovo affidato alla vita di qualcun altro la soluzione della propria. Sarebbe stato un "falso movimento". Identificandomi con i personaggi che scrivo se ne può dedurre che la famiglia per me sono tutti coloro con cui di giorno in giorno decido di nuovo di continuare la mia vita. Non c'entrano né il sangue né le istituzioni.


 


Nei progetti di produzione con Tilde Corsi c'è qualche regista italiano da finanziare e far esprimere?


 


Quest'anno per la prima volta abbiamo prodotto due opere prime: "Vieni Via con Me" di Carlo Ventura e "Contronatura" di Alessandro Tofanelli. E anche un'opera seconda: "Vento di Terra" di Vincenzo Marra, perché ci era piaciuto molto il suo film di esordio "Tornando a Casa". E' stato molto difficile trovare i soldi (pochi) per questi film, perché nessuno dà credito a dei debuttanti o a qualcuno che pur avendo fatto un bel film non ha incassato bene al botteghino. Per il momento quindi vogliamo riposarci e abbiamo dato uno stop a tutti i progetti che ci propongono e soprattutto alle opere prime. Anche perché stiamo iniziando la scrittura e la preparazione del prossimo film di Ozpetek che si intitolerà "Cuore Sacro". Inoltre abbiamo comprato i diritti di remake di un grande classico italiano: "La Corona di Ferro" di Alessandro Blasetti e io mi sto occupando anche di quello. Sullo sfondo rimane sempre in attesa il mio "Demone Meridiano". Non so quando e se vedrà la luce. Spero che nel frattempo non sia lui a stancarsi e ad abbandonarmi. Ma dai demoni posso aspettarmi questo ed altro.

 


La prima parte dell'intervista

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