Il cuore nero di Stephen King: "The Mist", di Frank Darabont

L’altra faccia del cinema di Frank Darabont è un film cupo e senza speranza, profondamente Kinghiano nell’animo senza per questo adagiarsi troppo sul racconto di partenza. Ma The Mist è anche una riflessione sull’atto del vedere, su quel cinema che ancora utilizza i generi per cercare di mostrare pur non essendoci più nulla da far vedere. Inesorabilmente, uno spietato film sul mondo alla fine del mondo.

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Se trent’anni di riduzioni cinematografiche da Stephen King hanno insegnato qualcosa, questa è che le opere del Maestro manifestano tutte, più o meno, la drastica impossibilità di essere riprodotte sullo schermo in maniera eccessivamente fedele alla pagina scritta: regola ferrea e universale, valida ovviamente per qualsiasi adattamento e per qualsiasi autore, ma che proprio nel caso dello scrittore del Maine è stata puntualmente violata generando decine di prodotti (soprattutto televisivi, e soprattutto ad opera di Mick Garris, purtroppo lo shooter preferito da King in persona) buoni al limite per un prime time da tv via cavo. Le eccezioni nel corso degli anni ci sono state, e non è il caso di ricordare in questa sede quali registi e quali film abbiano reso giustizia alle opere dello scrittore (spesso violentando il libro di partenza, come in un certo film di un certo Kubrick ambientato in un certo albergo….): oggi The Mist sembra appunto raccogliere questa eredità, rivelandosi uno dei migliori adattamenti Kinghiani degli ultimi anni. Dopo il bel Le Ali della libertà, il discreto Il Miglio verde e il mediocre The Majestic (su quest’ultimo giudizio alcuni Selvaggi storceranno il naso…), Frank Darabont prende un racconto qualitativamente come tanti altri (La Nebbia, presente nella raccolta Scheletri), si dimostra apparentemente fedele alla narrazione ma, finalmente e sorprendentemente, utilizza il materiale di partenza come trampolino per guardare altrove: un altrove che non è l’universo Lovecraftiano dal quale provengono le creature del film (l’origine delle quali, tra l’altro, viene brillantemente liquidata in poche parole appunto perché non fondamentale ai fini del discorso), bensì è un luogo orrendamente concreto e prossimo, di natura prettamente umana. Dopo essersi fatto portavoce di un cinema di massa, timoroso,  riconciliato (quasi “scolastico”), Darabont si occupa ora di illuminarne il controcampo, l’altra faccia, quella più reale: il suo film è un vero e proprio cuore nero, il ritratto pulsante di un’umanità e di un mondo oramai senza speranze ed obiettivi che non siano quelli dell’autodistruzione. Ed è un’umanità genuinamente Kinghiana, di quelle che popolano la provincia americana che abbiamo sempre trovato nelle pagine dello scrittore: un’umanità ripresa ad altezza uomo e che di fronte agli orrori del mondo esterno si chiude in sé stessa (il supermercato, non-luogo romeriano per eccellenza), salvo poi scoprire che dentro o fuori non fa poi così differenza… Perché la nebbia del titolo altro non è che il mondo creato dall’uomo, quello in cui non riusciamo più a vedere niente perché non abbiamo più occhi (quindi cervello, quindi cuore) per riuscire a guardare veramente; ed è così q

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uindi che The Mist si trasforma in geniale metafora sull’atto del vedere, prerogativa di quel cinema che vuole indagare la realtà per aprire una finestra sul mondo: un cinema che vuole ancora usare i generi per poter dire la sua anche quando, come in questo caso, tutto si trasforma in sconfitta, un cinema che vuole mostrare pur non essendoci più niente da mostrare.  Prendete due uomini a caso e metteteli insieme nella stessa stanza,” dice un personaggio, “e dopo un’ora avranno già trovato un motivo per ammazzarsi a vicenda“: l’annebbiamento fuori dal supermercato è la proiezione di ciò che vi accade dentro, dove tutti riescono a creare distanze incolmabili pur trovandosi a pochi centimetri gli uni dagli altri. E dove risiede la vera cecità.

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Manca forse l’originalità, è vero, perché si tratta pur sempre di una variazione su temi già ampiamente affrontati: da La Notte dei morti viventi (Romero ritorna sempre, non c’è niente da fare…) fino al recente E venne il giorno, sembra che certo cinema americano non voglia smettere di interrogare e interrogarsi sul nostro presente, senza però mai trasformarsi in ridondanza. Davvero, forse, repetita iuvant.

 

Titolo originale: id.

Regia: Frank Darabont

Interpreti: Thomas Jane, Marcia Gay Harden, Laurie Holden, Andre Braugher, William Sadler, Nathan Gamble, Alexa Davalos

Distribuzione: Key Films

Durata: 126’

Origine: USA, 2007

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