Il dubbio – Un caso di coscienza, di Vahid Jalilvand

Un silenzioso e pervasivo thriller nel quale si attende la soluzione in un cinema dalla natura labirintica. Dal regista di Wednesday, May 9

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Stiamo imparando a scoprire che il cinema austero di Jalilvand (già regista di Wednesday, May 9) si addensa attorno alle questioni morali che sono al centro delle vicende che il regista costruisce per i suoi personaggi. Non distante dagli altri autori iraniani cresciuti, non solo artisticamente, dopo i riconoscimenti unanimi attribuiti a Kiarostami, il cinema di Jalilvand si differenzia per la sua particolare natura quasi labirintica nella quale ambienta le sue storie, piene di dettagli che assumono, come in un thriller, rilievo via via sempre maggiore.
Un signore è alla guida della sua auto per le strade della città. Resta abbagliato dai fari di un altro mezzo che lo supera, stringe sulla destra e investe una famiglia che viaggiava su un mezzo a due ruote. Per fortuna non sembra accadere nulla, solo il ragazzino lamenta qualche problema. Scopriamo che l’investitore fa il medico e chiede ai genitori di andare in ospedale per meglio verificare le condizioni del piccolo, ma loro si rifiutano. Qualche giorno dopo in ospedale, nel quale lavora anche la moglie, l’uomo apprende che il bambino è morto. Eseguita l’autopsia resta accertato che aveva contratto il botulino e quella è la causa della morte. Ma all’uomo resta il dubbio che la morte sia stata causata dall’incidente.
Il regista iraniano costruisce le proprie storie, sempre molto credibili e forse questa maggiormente rispetto a quella del film precedente, nel solco di una tradizione iraniana che lavora da sempre e quasi esclusivamente all’interno di una imprescindibile realtà circostante. Né questa caratteristica deve apparire sminuente per l’esito del suo cinema. La realtà nella quale Jalilvand ci immerge si arricchisce di quelle sfumature più o meno percettibili che arricchiscono e complicano ogni situazione. Sfumature e dettagli che assumono, nel corso dello svolgersi, un profilo di sempre maggiore rilievo. Da qui quella naturale capacità di lavorare in una realtà davvero labirintica nella quale è sempre molto complicato trovare una via d’uscita, una soluzione che appaia credibile. D’altra parte i film di Jalilvand sembrano materia vivente e come tali dotati di vita propria e capaci di produrre, al proprio interno, altre storie che da sole potrebbero costituire materia per un altro film. In Il dubbio – Un caso di coscienza, la storia della famiglia vittima dell’incidente che lentamente si scoprirà che per ragioni economiche aveva consumato carne di pollo avariata che aveva causato il botulino, è proprio l’esempio lampante che conferma sia l’evoluzione diegetica del film con le derivazioni narrative di cui si fa carico, sia la natura ostruttiva della narrazione che sembra di continuo infilarsi in un dedalo di soluzioni che a loro volta danno vita ad altre storie. Un altro esempio di questa rigenerazione narrativa è il rapporto tra il protagonista e la moglie che da solo, così come la vicenda della famiglia, avrebbe costituito materiale sufficiente per un altro film. Un cinema quello di Jalilvand autoriproduttivo di storie e personaggi, che sembra continuamente prendere direzioni diverse e che poi, invece, vediamo tornare, con coerenza narrativa al centro del nucleo originario con sempre estrema credibilità e senza alcuna fuga dal reale nel cui contesto vivono i personaggi.
Il dilemma morale costruisce la tensione non solo per l’attesa della soluzione, ma anche per conoscere l’esito della verifica circa la fondatezza o meno del dubbio. Anche per questa evidente caratteristica il cinema dell’autore appartiene di diritto alla migliore tradizione iraniana.
La riscoperta di una realtà così articolata e stratificata è diventato terreno fertile per i registi iraniani per un proliferare non solo di storie, ma anche di tensioni e di attese, per l’ansia volta a risolvere la causa dell’angoscia. Illustri esempi abbiamo in questo senso nella folta cinematografia passata e recente del cinema iraniano.
È in questa oscura parte della realtà, quella ancora a tutti sconosciuta, che la vicenda di Il dubbio – Un caso di coscienza assume la forma inusuale e imprevista di un silenzioso e pervasivo thriller nel quale si attende la soluzione che possa sciogliere anche i dubbi morali del protagonista.

In questo svolgersi di fatti e di biforcazioni narrative, il regista iraniano lavora sulla psicologia dei personaggi costruendo il suo cinema attorno a loro, sempre dubbiosi rispetto alle scelte che hanno deciso di mettere in atto. Il dubbio e l’etica sembrano guidare il percorso artistico di questo autore ormai consacrato come erede e innovatore principale di una tradizione che ha scardinato, con il suo cinema, alcune convinzioni che l’occidente sembrava avere definitivamente acquisito. La riscoperta di una realtà stringente, non superabile in quella forma che è stata definita neo neorealismo e rispetto alla quale si ha qualche difficoltà ad aderire, è divenuta materia vivente sotto gli occhi degli spettatori che ormai da molti anni apprezzano le storie proposte dal cinema iraniano, che conferma la ricchezza culturale di quei luoghi e nel contempo denuncia, senza strepiti, i guasti sociali pur nelle estreme difficoltà che la situazione politica del Paese ha causato alla libera espressione di molti autori. Nonostante tutto ciò una nuova linfa sembra animare i registi iraniani e il loro lento distacco dal passato non esclude la lezione dei maestri che hanno cominciato a generare un rinnovamento che ci ha affascinato e continua ad affascinarci.

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Titolo originale: Bedoune Tarikh, Bedoune Emza

Regia: Vahid Jalilvand

Interpreti: Navid Mohammadzadeh, Amir Aghaei, Hedieh Tehrani, Zakiyeh Behbahani, Saeed Dakh

Distribuzione: 102 Distribution

Durata: 104′

Origine: Iran 2017

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