IL GIOVANE KARL MARX. Intervista a Raoul Peck

Un estratto dalla nostra intervista con il grande cineasta haitiano, pubblicata in versione integrale su SSMagazine25: “sono arrivato dalla politica ai film, non il contrario, e senza compromessi”

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In sala da oggi, Il giovane Karl Marx di Raoul Peck è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI, con la seguente motivazione: “Il regista haitiano Raoul Peck si muove sui binari del film biografico per riscoprire a 170 anni dalla sua stesura i motivi e le esperienze che spinsero Karl Marx e Friedrich Engels a pubblicare Il manifesto del Partito Comunista, sconvolgendo di fatto la realtà socialista e comunista per sempre. Un’opera che riscopre il valore didattico del cinema senza perdere mai di vista la passione narrativa e l’afflato dirompente della dialettica. Perché una rivoluzione è sempre una pietra che rotola”.
Lo scorso anno al Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina di Milano abbiamo incontrato Raoul Peck per parlare anche del film su Marx, visto alla Berlinale 2017.
La versione integrale dell’intervista è disponibile su
Sentieri Selvaggi Magazine n. 25 – FURORE

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Si può trasferire la rabbia all’interno di una pratica costruttiva? L’arte può farsi carico della rabbia e trasformarla in una sorta di coscienza attiva?

Raoul Peck: Certamente, sono convinto che questo già avvenga. James Baldwin in I am not your negro analizza qual è la situazione, ma ti dice anche come trattarla. Quando dice: “non ero membro di questa organizzazione per questo motivo, non facevo parte di questa chiesa perché…” ci sottopone i problemi dell’associazionismo politico, non ci dice di non formare organizzazioni. È il contrario della didattica. O ancora il modo in cui le organizzazioni, che siano di destra o di sinistra, o la Chiesa diventano strutture di potere con l’esigenza di essere avversate per poter cambiare. Lui ci sta dicendo cosa bisogna fare, il prezzo da pagare, anche a costo della vita, perché le cose cambino.  La rabbia non è abbastanza. Quella di Baldwin è anche una lezione su come organizzarci e sul modo in cui

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abbiamo storicamente interagito con quel tipo di organizzazioni. E’ quello che ho cercato di fare anche con The Young Karl Marx. Mostrare la necessità di organizzarsi, di imparare e studiare. Marx passò molto tempo in biblioteca; nel mio film lo vedi scrivere, leggere, quindi non è solo una questione di rabbia e lotta per le strade. Si tratta del modo in cui pensi, in cui organizzi, analizzi e l’uso che fai dei risultati di quell’analisi. Dunque sia Marx che Baldwin ci offrono uno spunto di azione. E vedi anche a sinistra che la rivoluzione ha degenerato in qualcosa di mostruoso. Questo è parte del problema perché ci dice che dobbiamo stare sempre allerta, nello stesso modo in cui nelle nostre democrazie abbiamo cominciato a dormire e a dimenticare di rinnovarne il senso ogni giorno. Votare non è abbastanza, anche questo è diventato consumo: consumiamo la politica, consumiamo la democrazia. È per questo che ti ritrovi Trump, Berlusconi. C’è una spiegazione a tutto questo ed è la ragione per cui provo a fare film, non ho iniziato perché volevo lavorare con gli attori famosi o andare a Cannes, ma ha a che fare con la politica. Sono arrivato dalla politica ai film, non il contrario. Si tratta sempre di come usare la major. Non sottostando al suo volere, ma facendo film reali, farli arrivare dove vanno le persone, platee reali per un cinema reale, non solo per i militanti, per me stesso o le persone a me care. Riguarda il mio impegno nei confronti di un pubblico più ampio senza bisogno di scendere a compromessi. Non sono mai sceso a compromessi sul contenuto.

Abbiamo visto The Young Karl Marx a Berlino, e la tua operazione ci ha fatto pensare molto a Rossellini, ai suoi film per la tv su Socrate, Pascal…l’idea che possa esistere una via vintage alla lotta politica sullo schermo…

Raoul Peck: Beh, Rossellini iniziò a scrivere un film su Marx, ma riuscì a mettere in piedi solo un trattamento senza completarlo. L’ho letto, è stato pubblicato. Venni a Roma per parlare con la sua ultima moglie perché volevamo ottenerne i diritti, ma era troppo complicato per cui abbiamo deciso di scrivere una sceneggiatura originale. In ogni caso mi interessava molto quell’approccio, anche se Rossellini era molto didattico, nella sua teoria di “televisione per le masse”. Io credo che le masse siano più sottili, più intelligenti. Possiamo offrire loro buoni prodotti artistici, buoni film senza dover essere semplicistici. La mia idea per questo biopic è sempre stata quella di raffigurare un giovane: quello che vedo sono quei tre ragazzi che decisero di cambiare il mondo come voglio fare io oggi. Si tratta di quest’energia, di questo pensiero, di geni incredibili quali erano, il lavoro che hanno fatto. Spero che questo ispiri i giovani perché loro si trovano nel mezzo, in quella fase in cui cercano risposte. Vogliono sperare che la vita sia molto più di questa piccola bolla in cui si trovano. Baldwin e Marx sono buoni esempi di lottatori, persone che hanno rischiato la propria vita, molti dei loro fiancheggiatori sono stati uccisi. Oggi tutto è intrattenimento e puoi fare la rivoluzione con Twitter. Questa è l’idea, ma non lo facciamo, non possiamo farlo davvero. Si tratta di ritornare alla realtà. È quello che ho fatto anche con The Young Karl Marx: ritornare alla realtà. Viviamo in una società capitalistica che non è mutata negli ultimi cento anni. Questo è quello che siamo ed è così che funziona. E funziona alla stessa maniera, per cui c’è bisogno di saperlo, di analizzarlo e la persona che l’ha analizzata meglio è stata Karl Marx, nessun altro. Sono aspetti basilari e se non li conosci non puoi combattere, non puoi sapere dove stai andando. Lo stesso vale per Baldwin. Per me sono aspetti fondamentali. Qual è l’uso del cinema? Dell’immagine, della creazione dell’immagine? Cosa significa essere bianchi? È solo una metafora per indicare il potere? Devi conoscere tutte queste regole di base ed è per questo che mi ci sono voluti dieci anni per realizzare entrambi i film, perché per me queste erano le tematiche da mettere sul piatto e tutto il resto non era così importante. È quello che ho bisogno di salvare assicurandomi che le prossime generazioni vi abbiano accesso.

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