Il grande match, di Peter Segal


Il vero match del film lo combatte lo spaesato De Niro contro gli stilemi stalloniani del film di rivalsa senile, qui tutti presenti in una brillante riproposizione di quello che va assumendo col tempo sempre di più l'aspetto di un vero e proprio filone hollywoodiano. Sly fa il suo film, col passo dolente che sempre gli ameremo, e quell'umanità straripante con cui disegna la sua epica del quotidiano

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La mano di Peter Segal, autore nato sotto la stella di Zucker-Abrahams-Zucker e di cui ricordiamo gli ottimi 50 volte il primo bacio e L'altra sporca ultima meta, si vede in pieno probabilmente soltanto nei siparietti post-titoli di coda del film, con Mike Tyson che ironizza su Hangover 4 con Evander Holyfield e De Niro concorrente a Ballando con le stelle, che fa concorrenza al celeberrimo spot del cappuccino di Al Pacino nel finale del vertiginoso Jack & Jill (sempre Sandler nei paraggi).
Il grande match è infatti il tipico esempio di film figlio di troppi padri, che nonostante la propria garbata onestà realizzativa finisce per perdere un po' la bussola nell'intento di stare dietro a tutti; la più ingombrante delle ombre è per forza di cose quella di Sylvester Stallone, e Sly in effetti si fa il suo film, col passo dolente che sempre gli ameremo, e quell'umanità straripante con cui disegna il suo Razor: quando lo vedi entrare in fabbrica con la cassetta degli attrezzi e l'elmetto da operaio in testa, o quando scopri il suo hobby maldestro di fabbro di sculture di cani con ferraglie da discarica, non puoi che riconoscere la sincerissima epica del quotidiano che sempre innerva i personaggi dell'attore (che tra parentesi si prende anche lo spazio per sbeffeggiare le arti marziali miste, bacino di pesca per i caratteristi dei suoi Expendables…).

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Ecco, il vero match del film lo combatte lo spaesato De Niro contro gli stilemi stalloniani del film di rivalsa senile, qui tutti presenti in una brillante riproposizione di quello che va assumendo col tempo sempre di più l'aspetto di un vero e proprio filone hollywoodiano, che parte da Gran Torino e arriva per adesso a Last Vegas.
In più di un'occasione, Segal ci mostrerà il personaggio di De Niro, Kid, al massimo della frustrazione per colpa dei suoi fallimentari tentativi (dichiarati dall'ossessione che lo accompagna da 30 anni) di entrare dentro, o di sabotare, il film di Stallone, che Kid riesce a vedere solo dall'esterno, dai margini (esemplare in questo lo sketch del lancio dal paracadute, che riporta quasi a Rambo II): quando finalmente la love story interrotta per decenni tra Sly e Kim Basinger sembra essere sul punto di risbocciare, a casa di lui, ecco Kid piombare con tanto di pioggia di pietre indirizzate a frantumare i vetri delle finestre, per interrompere l'idillio. Per non parlare di quella che è forse la migliore intuizione formale di Segal durante la messinscena dell'incontro di boxe (studiata sui manuali di Rocky, ralenti e sovrimpressioni deformanti compresi), con De Niro che guarda da lontano una classica sequenza stalloniana in pieno svolgimento, con Razor piegato su di un ginocchio che cerca di trovare dentro di sé la forza per rialzarsi.
Sono forse queste tra le due star le traiettorie più interessanti del film, che ha dalla sua un Alan Arkin sopraffino e una Pittsburgh (ricostruita però a New Orleans) dalla grande resa cinematografica. Funziona meno il prevedibile personaggio con la parlantina inarrestabile di Kevin Hart, mentre la colonna sonora di micidiali hit blues e soul (I'm ready, Boom Boom, War, Steady Rollin' Man…) fa il suo dovere magnificamente.


Titolo originale: Grudge Match
Regia: Peter Segal
Interpreti: Sylvester Stallone, Robert De Niro, Alan Arkin, Kim Basinger, Kevin Hart, Joe Bernthal
Origine: USA, 2013
Distribuzione: Warner
Durata: 113'

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