"Il mio è un film sul perdono". Incontro con Leonardo Pieraccioni

Pieraccioni sul setA Roma per presentare alla stampa Una moglie bellissima, Leonardo Pieraccioni parla a ruota libera, rubando letteralmente la scena ai compagni sul palco. Suona come uno spot in favore della provincia, ma il suo cinema di “personaggi fissi” è l’occasione per riflettere sull’amore e sul perdono. Tra satira sociale e ingenua comicità, un’ora dedicata ai giornalisti romani per entrare nel dietro le quinte di un film che inizia dove finivano tutti gli altri

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Pieraccioni sul setLa proiezione di Una moglie bellissima si è conclusa da una ventina di minuti. I giornalisti rientrano in sala e insieme a loro prendono posto alcuni dei protagonisti della pellicola, a fianco del regista toscano. Da sinistra verso destra Chiara Francini, Gabriel Garko, Laura Torrisi, Rocco Papaleo, Massimo Ceccherini. Al centro, vestito di tutto punto, Leonardo Pieraccioni prende immediato possesso del microfono, per introdurre personalmente il suo ultimo lavoro:

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L.P. In tutti i miei film il normotipo andava alla ricerca della donna più bella. Dopo averla conquistata, si chiudeva la porta e non sapevamo più nulla. Io e Veronesi ci siamo divertiti a scrivere un film partendo da qui, dal punto in cui finivano gli altri. I nostri sono due eroi fantastici che vivono la semplicità della provincia. Il loro unico desiderio è quello di comprare un fondo, che guarda caso costa esattamente quanto viene offerto nella “proposta indecente”. Una volta un sacerdote mi disse: “Dimostrerai il tuo amore alla tua donna per come la saprai perdonare, non per come la saprai amare”. Questo è un film sul perdono, che contiene anche una piccola accusa al mondo dello spettacolo, personificato da Garko. Era questo che mi piaceva raccontare, la provincia con i suoi personaggi fissi, come quella de Il ciclone, il popolo che non si vede quasi mai. È chiaro che appena la bella del paese fa il calendario, l’eco prodotta dall’avvenimento nel piccolo centro è più grande del solito. Credo comunque che la qualità della vita nella provincia sia meglio di quella della città; io ci vivo e ci godo.

 

Mentre Ceccherini e Papaleo chiacchierano a bassa voce e Gabriel Garko richiama l’attenzione della Torrisi, Leonardo Pieraccioni è finalmente pronto a rispondere alle domande. È lui il protagonista assoluto:

 

Il suo film esce nel periodo dei cinepanettoni. Sembra che la sfida sia tra lei e De Sica…

L.P.  È sempre la stessa storia: chiamo la Medusa per dirle che usciamo ad ottobre, ma poi la richiamo e decido di uscire a Natale. Questo perché potrei anche scegliere un periodo alternativo (sono io che decido la data di uscita e per esempio alcuni dei miei film sono usciti a gennaio), ma credo che quello natalizio sia comunque il migliore. Sembra sia tutta quanta una gara, ma io non la penso così. Se fosse uscito Rambo, allora la sfida ci sarebbe stata per davvero, perché ho sempre sognato di vincere contro di lui. A parte gli scherzi, credo che ognuno debba pensare solo a fare il proprio film. I problemi nascono al massimo quando nessuno crede più in quello che fai e non ti dà più la possibilità di farlo. Fino a quando la gente mi fa i complimenti perché si è divertita e rilassata a guardare un mio film, per me va bene. In fondo faccio i film che vorrei vedere, sono altri gli autori che affrontano tematiche complicate. A me fatemi fare una commedia, vorrei si ridesse dall’inizio alla fine.

 

Il suo personaggio nel film perdona la sua donna, ma la fa diventare zoppa. Un altro simpatico ingenuo…

L.P. Tante volte quando abbiamo cominciato a scrivere questo film, abbiamo provato a costruire il personaLeonardo_Pieraccioni_e_Laura_Torrisiggio di un dottorino cattivo, ma non mi veniva proprio. Pensiamo ad Alberto Sordi; qualche personaggio “cattivo” l’ha anche interpretato, ma si trattava di  perdenti. Se a lui non gli è mai venuto in mente di cambiare, se uno ha negli occhi certe malinconie è inutile sperimentare. E poi a sperimentare ci abbiamo già provato, con Il mio West e Il pesce innamorato per esempio, con scarsi risultati; però posso sempre cambiare la storia. Il personaggio che interpreto stavolta infatti, racconta il mal d’amore. All’inizio dovevo essere io il fotografo e lei una donna sposata ad un pericoloso malvivente, che però non si innamorava di me. Avevamo scritto fino a pagina 30 seguendo questa traccia, ma poi questo fotografo non funzionava proprio. Come dire, ci sono il clown Bianco e il clown Augusto; il clown Augusto ruba il cappello al clown Bianco. Ecco, io non sarò mai il clown Augusto, né il direttore del circo. A Springsteen non si chiede: “Perché non fai un valzer?” E allora, io sto alla commedia come Springsteen sta al rock.

 

In questo film c’è un elemento nuovo però: la satira sociale.

L.P. C’è stata una sorta di film nel film, mentre giravamo alle Seychelles. Quando abbiamo raccontato agli abitanti del posto dell’ICI, dell’IVA e del valore dei soldi in Italia, ridevano tutti per davvero e allora abbiamo deciso di girare qualche scena ricreando la stessa atmosfera.

 

Con il personaggio del sacerdote in crisi depressiva cosa ci voleva raccontare?

L.P. Tra il sacerdote e il personaggio di Mariano che interpreto c’è un’analogia. Mariano, dopo il tradimento della sua donna perde la speranza nell’amore, ma poi la ritrova con il perdono. Il sacerdote invece ritrova la fede in Dio grazie a Grease, che diventa per lui una sorta di Bibbia. Purtroppo abbiamo tagliato la scena in cui questo parallelo era evidente, come tante altre che avevamo girato, per questioni di tempistica. Credo infatti che una commedia debba durare al massimo un’ora e trentacinque minuti, tempo oltre il quale l’attenzione dello spettatore comincia a calare.

 

 

Servirsi dello stesso gruppo di attori spesso è un modo di ricreare un gruppo familiare. Che cosa ci può dire a riguardo?

L.P. Con Giovanni Veronesi i personaggi ormai vengono fuori da soli, al punto che mentre scriviamo ognuno di loro parla già come l’attore per cui lo stiamo scrivendo, ci viene automatico. Ci sono tanti personaggi che vanno e vengono, quindi nella compagnia più o meno stabile ci sono spesso dei cambiamenti. Per me è stata una fortuna trovare Laura Torrisi, che ho contattato dopo aver visto una foto sul giornale di una modella che indossava un reggiseno. Quella modella era proprio Laura, aveva anche già fatto il Grande Fratello, ma non me l’aveva detto. Dai reality in poi è cominciato a diffondersi un atteggiamento “fortunistico” nei confronti del mondo dello spettacolo, per cui è davvero difficile riuscire a trovare qualcuno di questi “artisti” che sia davvero capace di fare qualcosa. Quando ho fatto il provino a Laura, era lei Miranda, aveva il suo stesso smarrimento e la soavità di chi non sa quello che sta facendo. Queste sono le fortune che ti capitano quando fai un film ogni due anni come me.

 

 

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