"Il nascondiglio", di Pupi Avati

Il nascondiglioIl regista è abile a delineare lo sfondo, il clima claustrofobico della provincia americana, ma il suo paesaggio resta senza figure. Personaggi abbozzati e una protagonista di cui cogliamo la superficie, ma di cui rimane nascosto l’intimo, il viaggio interiore che porta alla catarsi o alla caduta. Una donna immobile, come il cinema di Avati, controllato, ma distante

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Il nascondiglioA undici anni di distanza da L’arcano incantatore, Pupi Avati torna alle proprie origini, alle atmosfere gotiche e horror di Balsmamus, l’uomo di Satana, Thomas…Gli indemoniati, Zeder e soprattutto de La casa dalle finestre che ridono. Anche in quest’ultimo Il nascondiglio, infatti, a ergersi a protagonista è una casa che nasconde terribili segreti del passato. A cambiare è l’ambientazione. Non più la provincia padana o l’Appennino emiliano, con tutto il loro portato di cultura popolare atavica, di fascino arcano sospeso tra una religiosità asfissiante e credenze ai limiti del blasfemo. Qui ci troviamo a Davenport, nell’Iowa, Midwest americano, una scelta con cui Avati rinuncia consapevolmente a quell’originale e inquietante caratterizzazione del suo cinema horror, per andare a sfidare un immaginario che non gli appartiene. La Snakes’ Hall è un’inquietante villa gotica fatta costruire da un industriale farmaceutico, che era riuscito a ricavare un analgesico dal veleno dei serpenti. In seguito la dimora venne concessa a un ordine di suore, che la trasformarono in un ospizio per anziani. La notte del 22 dicembre 1957 venne sconvolta da un orrendo delitto, per poi restare chiusa per cinquant’anni. A mettervi piede per prima sarà una donna d’origini italiane (Laura Morante), decisa ad aprirvi un ristorante. Ma anche quella donna nasconde un passato misterioso: dopo il suicidio del marito, è stata ricoverata per quindici anni in un ospedale psichiatrico. Proprio questo è o dovrebbe essere il nucleo emotivo della storia: quanto di spaventoso avviene nella casa è frutto di realtà o è dovuto all’immaginazione alterata della donna? L’horror assume ben presto una dimensione psicologica. Ed è proprio questo il limite del film di Avati. Perché neppure per un secondo si riesce a dubitare della sincerità e salute mentale della protagonista, nonostante Laura Morante si affidi al suo abituale repertorio di inquietudini e  fragilità. Il regista si mostra più sicuro, nonostante il suo spaesamento d’italiano all’estero, nel delineare lo sfondo, a rendere il clima claustrofobico, torbido della provincia americana (che poi è quello di tutte le province del mondo), fatta di silenzi e sospetti, intrighi nascosti e segreti innominabili, di voci pericolose e mortali. Ecco la figura dominante: le voci inesistenti che portano la protagonista alla follia, le voci dei maligni che inducono al suicidio il marito, le voci messe a tacere sulla verità di quel massacro di cinquant’anni prima, le voci che scuotono le notti della Snakes’ Hall. E, con una certa coerenza, la dimensione horror del film si basa interamente sull’amplificazione delle percezioni sonore, che hanno un posto privilegiato rispetto al momento visivo. Avati in questo mostra di padroneggiare alcuni topoi del genere, ma il paesaggio del suo quadro resta senza figure. Ci troviamo dinanzi a personaggi abbozzati e a una protagonista, il cui tormento non prende mai forma a pieno e perciò non trova alcuno sbocco. E’ una donna di cui cogliamo la superficie, ma di cui rimane nascosto l’intimo, il viaggio interiore che porta alla catarsi o alla caduta. E’ una donna immobile. Come la casa, come il cinema di Avati, fermo a un mestiere controllato, ma antico, polveroso, distante.

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Regia: Pupi Avati

Interpreti: Laura Morante, Burt Young, Rita Tushingham, Treat Williams, Yvonne Sciò, Sydney Rome, Peter Soderberg, Chiara Tortorella, Giovanni Lombardo Radice

Distribuzione: 01 Distribution

Durata: 100’

Origine: Italia/USA, 2007

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