Il prigioniero coreano, di Kim Ki-duk

Potentissimo e sorprendente, un abbraccio al cinema, vero e sincero perché vissuto totalmente nel percorso di trasformazione di questi anni

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Di tradimento è accusato il pescatore (interpretato da un formidabile Ryoo Seung-bum) nordcoreano del potentissimo e sorprendente Il prigioniero coreano, di Kim Ki- Duk. Che gioca/ opera nell’unico vero “confine” politico/culturale ancora rimasto, quello tra le due Coree, i due poli opposti, la nazione più “buia”, e quella più “illuminata” e veloce di questi tempi.

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Per un imprevedibile guasto al motore si ritrova a superare il confine e rimane prigioniero degli addetti alla sicurezze e all’antispionaggio della Corea del Sud. Inutilmente cerca di spiegare che ha superato il confine a causa del guasto alla barca, i funzionari e poliziotti sudcoreani sono convinti che lui sia una spia e lo costringono ad un lungo interrogatorio, a tratti anche violento, mitigato solo dai continui interventi dell’addetto alla sua sicurezza, che di fatto ne diviene il suo unico ma accanito difensore.

Siamo in un abisso politico/culturale: da un lato il pescatore che, letteralmente, si rifiuta di vedere, chiudendo gli occhi nel suo viaggio in macchina fino a Seoul, perché, novello Ulisse, vedere equivale a desiderare, quindi altri sogni, altri bisogni, come essere catturato dalla civiltà dei consumi. Dall’altro abbiamo dei funzionari fin troppo zelanti, che si rifiutano di accettare che davvero quell’uomo voglia ritornare nella nazione governata da una terribile dittatura, per cui o è una spia oppure deve diventare un traditore e accettare le lusinghe e le ricchezze del mondo capitalista. Ma il nostro pescatore fa resistenza (analogica) e la sequenza in cui viene lasciato da solo nel pieno di un grande centro commerciale, dove a lungo cercherà di rimanere “con gli occhi chiusi” per non farsi coinvolgere da questo “nuovo mondo” è tra le più incredibili e forti di questo film, che conferma una rinascita di un cineasta che non ha mai mancato di stupire e colpire duro…

Poi, inevitabilmente, il mo(n)do “occidentale” di vivere lo coinvolge. Salva una prostituta dalle violenze dei suoi “datori di lavoro”, ingenuamente porta il messaggio di una spia alla finta figlia trasformandosi in veicolo di spionaggio vero e proprio, fino a scegliere di ritornare dal suo amico e protettore che, unico, può aiutarlo a ritornare al suo Paese e alla sua famiglia.  E qui il film devia verso una guerra “mediatica”: i funzionari del Sud mostrano in tv le immagini del pescatore del Nord sorpreso tra le vetrine dei negozi, mentre quelli del Nord rispondono rilanciando in tv la moglie e la figlia in lacrime che reclamano il marito e padre al proprio nucleo familiare.  Improvvisamente il pescatore diventa un oggetto televisivo, una specie di star, e, nell’imbarazzo dei soldati e funzionari del Sud riesce, trionfalmente, a tornare al suo Paese, fiero ed orgoglioso di non aver tradito. Ma al ritorno lo aspetterà un analogo “servizio”, con interrogatori violenze ecc….

Alla fine vorrà e dovrà ritornare a fare il pescatore, con tutti i rischi di mettersi contro lo Stato.

Senza paura di spoilerare troppo, va raccontato che il pescatore, al suo ritorno in Patria, si spoglia di tutti i beni e vestiti che gli avevano donato gli “amici” del Sud. Con l’eccezione di un orsacchiotto regalatogli dal suo amico della sicurezza, che aveva nascosto nella barca per donarlo alla figlia, il cui vecchio giocattolo era ormai logoro e pieno di continue ricuciture.

Non vi sveliamo il finale, ma Kim Ki-Duk, nell’epilogo post-finale, lascia spazio a questo meraviglioso primo piano della piccola bambina del pescatore, che, dopo un po’, lascia il giocattolo “che parla e si muove” nuovo e morbido per abbracciare, con l’intensità che solo un bambino può avere, il suo vecchio orsacchiotto rappezzato.

Ecco, quello di Kim Ki-Duk, classe 1960, è un abbraccio al cinema, vero e sincero perché vissuto totalmente nel percorso di trasformazione di questi anni.  L’orsacchiotto è il cinema, il vecchio cinema, che ancora vorremmo abbracciare, e che vorremmo che i nostri figli abbracciassero.

Ma probabilmente la generazione di La La Land, che era a Venezia nella stessa edizione de Il prigioniero coreano,  preferisce abbracciare virtualmente un Pokemon digitale…(e come possiamo biasimarli, per questo?).

 

Titolo originale: Geumul

Regia: Kim Ki-duk

Interpreti: Ryoo Seung-bum, Lee Won-gun, Kim Young-min, Choi Guy-hwa

Distribuzione: Tucker Film

Durata: 114′

Origine: Corea del Sud 2016

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