“Il problema reale è che i Festival devono trovare la maniera per servire ai film, devono essere utili ai film, altrimenti i Festival non servono a niente”. Intervista a Steve Della Casa

Prosegue la nostra inchiesta/dibattito sul futuro dei Festival di cinema. Oggi è la volta del vulcanico direttore della Film Commission Torinese, ex Direttore del Torino Film Festival

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Partiamo da cos’è cambiato nel panorama in cui si fanno i Festival? Cosa è rimasto della grande stagione dei Festival sviluppatasi negli Anni 70/80 sulla spinta dell’Associazionismo Culturale e dei Cineclub? E’ ancora attuale? Per chi e perché si fanno oggi i Festival? A quale urgenza rispondono (se c’è ancora un’urgenza…)?

La “grande stagione” dei Festival è legata soprattutto al fatto che, all’epoca, i festival facevano conoscere un cinema che non era visibile, che non si poteva vedere. Oggi questa funzione ce l’hanno sempre di meno, perché per quanto riguarda i film vecchi c’e il mercato dei DVD, ci sono le tv tematiche, ecc… mentre per i nuovi film ci sono altre forme di distribuzione. Oggi i festival hanno il grosso problema di non riuscire a dare visibilità alle cose che fanno vedere, ed è questa la contraddizione nella quale si dibattono. E rischiano di diventare una specie di circuito chiuso, cioè di essere o una cosa per iniziati oppure di essere qualcosa di fortemente spettacolare per delle anteprime, ovvero di diventare il luogo di lancio di un film, dove le grandi produzioni un invece di affittare l’Hotel Eden e di fare intervistare Brad Pitt dai giornalisti, lo porta al Festival ottenendo lo stesso risultato. Il problema reale è che i festival devono trovare la maniera per servire ai film, devono essere utili ai film, altrimenti i festival non servono a niente. In questo momento i grossi festival, i festival mondani, quella funzione lì, di fatto, non ce l’hanno, perchè ad esempio un film come Departed riuscivi al lanciarlo anche se non c’era la Festa di Roma. D’altra parte il problema che hanno i festival di tendenza come Torino, Rotterdam, ecc… è il fatto che non riescono più a “bucare” sui media, non riescono più a imporre gli autori. Per la prima volta da tanti anni neanche il fatto di andare a Cannes serve a un film per uscire in Italia, vedi Sorrentino. Non era mai successo che un film va a Cannes a maggio esca in Italia a ottobre, vuol dire che si ritiene che il lancio internazionale dato dal Festival di Cannes non serve a nulla, almeno dal punto di vista della commerciabilità dei film. Qui si chiede a quale urgenza rispondono: beh, l’urgenza che hanno è proprio quella di trovarsi un ruolo, cioè di trovare la maniera per essere utili ai film.

Ma se questi film poi comunque hanno una circolazione, non rischia di essere una domanda la cui risposta è che… i Festival non servono a niente?

 Se non riescono a garantire una visibilità, un mercato, uno sfondamento per i film è chiaro che non servono a niente.

 Ma secondo te questo discorso vale sia per i grandi che per i piccoli festival?

 Diciamo che vale per tutti. Il problema anche di un piccolo festival, come un festival di cortometraggi ad esempio, è che se non riesci in qualche maniera a mettere in contatto quelli che fanno i cortometraggi o con i giornali o con i buyer di cortometraggi, o con quelli che cercano talenti nuovi da far esordire in pubblicità, in televisione, nel cinema, ecc.. anche quei festival rischiano di non avere una loro funzione. Va ripensato completamente il ruolo dei festival. Spesso i festival sono fatti per gli addetti ai lavori – ma non gli addetti ai lavori commerciali ma gli addetti ai lavori culturali – e questa è una cosa che non funziona. Non riescono ad uscire da quel tracciato, da quel seminato. Quando si facevano i cineclub l’ambizione era quella di portare all’attenzione di tutti il fatto che un certo cinema era importante commercialmente ma anche culturalmente. Facevi vedere Matarazzo piuttosto che Howard Hawks, dicevi che questo è un cinema che va rivalutato, non solo Bergman, non solo Fellini, e cosi via…. Quel lavoro aveva un senso, era una funzione importante. Adesso quasi nessuno si pone il problema di comunicare le cose che fa e di farle “sfondare” e quindi i Festival diventano asfittici, tant’è vero che – detto tra noi – anche la questione di Torino, finché non è venuto fuori il nome di Moretti, era una cosa che non era mai uscita dalle pagine locali, e Torino è il terzo Festival italiano. La direzione di Torino e l’indirizzo culturale del festival, fino a quando non è venuto fuori il “caso Moretti”, era una questione che riguardava la cronaca della città.

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In questo senso, secondo te, il modello che emerge dalla Festa di Roma è un modello interessante e utile o anche questo è un modello che non risponde a queste urgenze che dicevi tu, visto poi il risultato non particolarmente felice – a livello di visibilità – dei film che sono venuti a Roma (chi si ricorda chi ha vinto?). Oppure risponde ad altre urgenze…?

La Festa di Roma ha l’urgenza, forse, o almeno così me l’hanno spiegata i miei amici che lo fanno, cioè Sesti e Gosetti, di trovare un rapporto tra il grande pubblico e il cinema. In quel senso il risultato l’hanno ottenuto. Il problema è capire se tutto quell’ambaradan era necessario. Io sono stato alla prima di Natale a New York all’Adriano, che non era un festival,  ma c’era il tappeto rosso, la gente fuori assiepata che vedeva entrare De Sica, Ghini, Bisio, ecc… ecco forse non c’è la necessità di un Festival per fare queste cose. Bisogna capire bene che cosa si vuole. Non ci si può porre solo il problema del “fatturato” dal punto di vista del numero di articoli che sono usciti sui giornali, bisogna porsi anche il problema di che cosa porta in più il festival a questi film che l’Anteprima, da sola, non gli darebbe.

Tu stai proponendo come una sorta di “terza via” tra il modello più “popolare” e quello più “cinefilo”?

Io ho imparato che se uno vuol fare una cosa la comunicazione è importante, non è un qualcosa che viene dopo. Quello che mi interessa non è tanto il rigore o la qualità del programma che faccio, ma se poi riesco a comunicarlo e se ho chiaro in mente cos’è che voglio ottenere da quel programma. Il fatto di fare un programma bellissimo e fortissimo e poi non porsi il problema di come comunicarlo, beh, questo è veramente un grosso errore. Non posso pensare che sia utile interessante e importante far venire al Festival Pedro Costa e poi scoprire che non trovo una riga neanche su il manifesto su Pedro Costa. E’ un problema che va risolto prima, tanto vale non farla nemmeno quella cosa lì, allora. Si può comunicare qualsiasi cosa, l’importante è porsi il problema “a monte”. Che magari cerchi anche la via di mezzo tra l’essere brutamente mediatico e l’essere pervicacemente militante. Quando facevo i volantinaggi davanti alle fabbriche intendevo darli agli operai delle fabbriche, volevo comunicare con loro; quando facevo i manifesti volevo comunicare alla città e quando facevo le circolari interne volevo comunicare ai militanti di Lotta Continua. Sono tre forme di comunicazione diverse. Io vorrei che ciascun Festival si ponesse il problema di “a chi comunica” e “che cosa comunica”. Si può rivendicare tutte le coerenze strutturali di programma ma se non viene fatta quella cosa a monte la cosa non funziona.

Secondo te per chi lo si fa un festival, per la città o per un’area più ampia che viene raggiunta mediaticamente?

Basta che tu lo sappia. Tu devi saperlo. Non puoi dire che vuoi farlo per il pubblico internazionale e poi quello non c’è, però poi ti vanti che è uscito un articolo sui “Cahiers” o su “Les Inrockutibles”, non puoi nemmeno dire che è un grosso festival cittadino fatto per il pubblico…devi capire bene cos’è che vuoi fare e devi dichiararlo. Come quando giochi a Bridge dichiari cosa vuoi fare. Se centri l’obiettivo sei valutato per quello che hai fatto. Altrimenti è troppo facile, tutto si riduce a cercare l’anteprima, il film più militante, più spettacolare, con la star, ecc… Il problema non è Muccino o non Muccino. Ma lo è se ti poni il problema di far uscire l’articolo sulla copertina di “Sette”.  Devi dichiarare prima che cosa vuoi fare, devi indicare come intendi essere utile ai film, se non fai quello è una cosa che fai tu e i tuoi quattro amici, e questo, ripeto, non funziona…

Quindi ogni festival può scegliersi un suo pubblico?

Devi dichiarare cosa offri ai film che vengono proiettati. Non basta dire faccio una selezione molto radicale, nuovo cinema, cinema vecchio o spettacolare. Devi dire: io ai film che vengono a questo Festival prometto questo e quest’altro. A me piacciono i giochi dove gli obietti li dichiari e poi devi lottare per raggiungerli.

I festival devono servire ai film, se non servono ai film non servono a niente. Tu fai la selezione più bella più ricca più militante e di tendenza, però se non esce un articolo su quella cosa lì tu hai toppato, e non puoi cavartela dicendo che “è facile far venire Muccino..” per andare sui media. No, tu devi saper comunicare anche il film dell’esordiente del Kurdistan, altrimenti hai sbagliato tutto. Non gli fai nessun servizio a quel regista e a quel film li, sei un saprofita….

Rispetto al discorso della comunicazione, che certamente oggi è importante in generale e anche per capire come può muoversi un festival, secondo te cosa significa fondamentalmente comunicare oggi? Attraverso quali mezzi? La Festa del Cinema di Roma ha comunicato meravigliosamente con i media, molto meno con la città di quello che avrebbe voluto …

Questo non lo so, loro dicono che però portare Di Caprio a Tor Bella Monaca è stata una cosa che nessuno aveva mai fatto. Io la Festa di Roma l’ho seguita più come autore, avendo un documentario dentro, e  avrò visto solo 3/4 film. In città però, parlando coi tassisti, avevo la sensazione che ci fosse qualche movimento… Ma questa è una valutazione che dovete dare voi che state a Roma. La mia impressione è che sia riuscita a comunicare bene i grandi film e un po’ meno bene il concorso.

Il rischio del termine “comunicazione” non è quello di concentrarsi esclusivamente sui grandi media?

Ma non è vero, perché ad esempio i siti internet sono importantissimi. Io quando ho annunciato la serie dei “Master of Horror” che stiamo producendo qui a Torino, sono andato al Festival di Ravenna per comunicarlo perché sapevo che lì c’erano tutti i siti internet specializzati sull’horror, ed è stata una scelta precisa: non l’ho fatto a Venezia o a Roma ma a Ravenna, perchè so che sono un segmento preciso di mercato. In quel caso devi andare in quei posti per comunicare il tuo evento. La comunicazione fa parte del progetto e tu devi capire dove vai a comunicare e a chi vuoi comunicare. Se dell’horror esce una cosa sul “Corriere della sera” mi interessa poco, mi interessa assai più che esca su “Nocturno”, perchè il pubblico che può comprare quelle cose è quello di “Nocturno” non quello del “Corriere”. Viceversa adesso stiamo iniziando il nuovo film Montaldo, un grosso film, tutto girato qui a Torino, undici settimane di lavorazione, o uno di Marco Tullio Giordana, ecc.. Quelli mi interessa che escano sul “Corriere della Sera”, perchè sono film da raiuno.

Questa storia che voi producete: le Film Commission non si sono occupate di produzione diretta solitamente…

Noi abbiamo inaugurato un fondo per i documentari, per cui i realtà finanziamo dei documentari. Adesso avremo un grosso fondo internazionale per lavorare sulle grosse produzioni internazionali, sopra gli otto milioni di dollari e dovremmo averne un terzo con la riforma del Torino Film Festival che dovrebbe occuparsi, invece, di opere prime. La trasformazione della Film Commission è proprio nell’ottica di entrare in produzione cioè di mettere i soldi. Diciamo che produciamo gli horror, o meglio non li produciamo ma diamo loro un contributo talmente grosso che, per un piccolo film, diventa quasi un diritto d’antenna. Se a un film che costa 200.000 euro gli dai 60.000 euro, beh… hai fatto la tua parte…

E’ originale questa cosa , le altre Film Commission in Italia non mi pare che facciano questo tipo di operazioni…

Me la sono inventata io….infatti!

Questo significa creare un polo produttivo pubblico invece di una pura guida/spazio per le produzioni…

Secondo me il futuro è quello..

Cioè che le istituzioni locali intervengano… Da questo punto di vista il discorso delle istituzioni e la politica, dibattuta in questi giorni. A Roma la politica ha preso in mano il Festival, in altri si sta discutendo. Fino a che punto la politica deve intervenire e dove si deve fermare?

Secondo me deve intervenire il meno possibile, ma deve dare degli indirizzi generali. Dovendo dare dei soldi della comunità è bene che siano chiari gli indirizzi generali per cui vanno dati i soldi. Poi deve intervenire meno possibile…

Se alludi alla vicenda di Torino non è che la politica è entrata dentro le manifestazioni. A Torino c’è stata una parte consistente, maggioritaria, del sistema cinema, che non era soddisfatta di come era impostato il Torino Film Festival e chiedeva che venissero modificate alcune cose e che il Festival si mettesse “in rete” con il resto. La politica è intervenuta perchè una parte del sistema cinema, cioè il Museo, la Film Commission, ecc.. ha chiesto di orientare diversamente la cosa, e questo dopo un dibattito che c’è stato anche con il Torino Film Festival. Non è una cosa che è venuta fuori come un fulmine a ciel sereno, è stato un intervento richiesto.

E come finisce a Torino..? Fate la pace..?

Come finisce? Si cerca di uscirne perchè comunque il Torino Film Festival è una cosa importante. Non ci saranno due festival ma ce ne sarà solo uno, credo che sarà il Museo che ne gestirà il progetto e lo farà sentendo anche il resto delle strutture cinematografiche torinesi. Io credo che il Festival debba essere una vetrina di quello che si fa a Torino sul cinema, non una cosa che va avanti per conto suo, ritengo che questo sia un passaggio fondamentale.

Diventerà perciò una cosa più locale…

No no! Una vetrina nel senso di mostrare tutto quel che viene fatto. Noi adesso abbiamo Amos Gitai che sta girando qui a Torino, non è una cosa locale… Io vorrei che si facciano venire gli autori ai quali poi si possa mostrare che c’è una struttura produttiva che vuol fare delle cose. Bisogna ottimizzare al massimo i soldi che vengono spesi: questo è quello che penso debba essere fatto.

E del passato cosa manterresti?

Tornerei alla volontà di scoprire il nuovo cinema, che era la sua caratteristica iniziale. Darei meno peso alle retrospettive, quelle le fa già il Museo molto egregiamente. Da un Festival ti aspetti che scopra un nuovo cinema.

 

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