Il professor Cenerentolo, di Leonardo Pieraccioni

Recuperando l’ambientazione tra quattro mura del precedente Un fantastico via vai, il tentativo di appropriarsi di toni più grotteschi e meno romantici lo porta a scontrarsi con un orizzonte catodico

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L’incipit è folgorante, e raddoppia l’espediente attuato da Nanni Moretti per l’ouverture di Mia Madre: l’idea stessa che possa esistere un’asse Moretti/Pieraccioni ci coglie impreparati, come questa scenetta di rivolta in carcere orchestrata da animalesco galeotto siculo, che scopriamo subito essere il ciak di un film di ambientazione penitenziaria diretto dal protagonista-professore-Pieraccioni. La suggestione del reale che si fa stereotipo è subito ricacciata nella dimensione di uno sketch tra la macchietta farsesca d’estrazione televisiva e il regista-attore che gli insegna a non guardare in macchina, non siamo mica in tv. E torna alla mente la regista Buy che dava indicazioni sulla giusta distanza da cui riprendere le sequenze di cariche delle guardie alle manifestazioni operaie…
Mantenesse con costanza questo livello di riflessione programmatica, Il professor Cenerentolo assumerebbe quasi il tono disperato di una confessione, di una richiesta di liberazione, simile a certi abissali Neri Parenti di fine anni ’90 (il trittico irripetibile Tifosi/Paparazzi/Bodyguards…): dalla sua cella piccola quanto uno schermo domestico, Pieraccioni incrocia comici, sosia e volti celebri e meno della tv di prima serata, sublimati dall’ospitata, come si dice, di Davide Ciripiripì Marotta, e dall’intuizione precisissima di piazzare Flavio Insinna come direttore del carcere.
Recuperando in un certo senso l’aspetto dell’ambientazione tra quattro mura del precedente Un fantastico via vai, che era senza ombra di dubbio un prodotto dall’esito più felice, il tentativo di Pieraccioni di mutare struttura e appropriarsi di toni più grotteschi e meno romantici lo porta a scontrarsi con un orizzonte fondamentalmente catodico, armato anche dell’oramai irrinunciabile drone, invenzione cruciale nel linguaggio video-tv di nuova generazione, qui trasformato addirittura in oggetto narrativo e comico. Vertigine (tra l’altro riprese via drone di Ventotene dall’alto fanno sul serio da cornice all’opera, come in un cul de sac).

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Eppure lo slancio più coraggioso il copione di Pieraccioni/Veronesi e Domenico Costanzo lo immette nella costruzione della controparte femminile, nel tentativo inedito di regalare al personaggio della bella da conquistare una modernità emancipata e slegata dal rosa immaginario pudico da commedia sentimentale, e più vicino quasi ad esemplari statunitensi (poi però la locandina del film liscia questa visione clamorosamente, vestendo l’attrice da principessa): la figura interpretata da Laura Chiatti utilizza un linguaggio sboccato e agisce esplicitamente per pulsioni basse e carnali – peccato che per giustificarlo gli autori siano costretti a farne una mezza matta, con una certa percentuale di disabilità mentale.

E peccato anche che di tutto il resto dell’armamentario “all’italiana”, l’isoletta turistica piena di personaggi bislacchi, la riconquista della figlia attraverso piccole bugie e sotterfugi, e il grande furto della collana durante il ricevimento di matrimonio in villa di pericolosissimi ricettatori rumeni, ci interessi alla fine davvero ben poco: grazie a dio, in queste occasioni Pieraccioni tira fuori dalla manica l’imprevedibilità del gesto anarchico di Massimo Ceccherini, anche in questo caso capace di un paio d’uscite degne del suo genio – nello scorrettissimo sketch in cui “corteggia” la grassa sposa dell’est ritrovi per un attimo l’ossessione del personaggio per le deviazioni sessuali, come quelle per i manichini o le signore anziane nell’uno-due A Natale mi sposo/Matrimonio a Parigi di qualche anno fa.

 

Regia: Leonardo Pieraccioni
Interpreti: Leonardo Pieraccioni, Laura Chiatti, Davide Marotta, Sergio Friscia, Nicola Acunzo, Massimo Ceccherini, Flavio Insinna, Lorena Cesarini
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: 90’
Origine: Italia 2015

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