Il prurito dell’immagine amputata

Nexus di Michele Pastrello, online da oggi, condivide il senso di ricerca evanescente con The Secret Sharer di Ticozzi (Filmmaker2017) e L’uomo con la lanterna di Francesca Lixi, Premio Salani 2018

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Alzo i miei occhi verso i monti: da dove verrà il mio aiuto? (Salmo 121, Canto delle ascensioni)

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Ci vuole qualche minuto prima che l’occhio registri inequivocabilmente che cosa si muove (anzi, è mosso) sulla scena, nel dettaglio strettissimo con cui Filippo Ticozzi apre The Secret Sharer (passato all’ultima edizione di Filmmaker a Milano): un po’ come nell’incipit dello strepitoso De Lama Lamina di Matthew Barney/Arto Lindsay, è difficile riconoscere da subito quale pezzo di carne stia pulsando nell’immagine. Ticozzi insiste sul moncherino di gamba massaggiato con decisione per potersi incastrare nella protesi che il laboratorio ha scelto come quella adatta tra le tante che vediamo esposte, come in vetrina. E’ un istante abissale, forse il punto di non ritorno definitivo della pratica di cinema disumano attuata da Ticozzi nei suoi lavori recenti: e allora perché qualcosa accomuna The Secret Sharer con Nexus, l’ultima opera di Michele Pastrello, online su youtube da oggi, che invece conferma l’amore del videomaker per uno stile gentile e lavorato, pulviscolare?


La suggestione deve centrare assolutamente con quella lunga escursione tra le sterpaglie, in montagna, in cui Ticozzi segue il suo protagonista “riprogettato”, paradossalmente così simile a quell’istante in cui Pastrello fa per un attimo ricongiungere, fuori dalla finestra, l’anziana figura di Nexus con il fantasma (?) che torna a visitarlo, le tracce lasciate dagli origami della donna in giro per l’appartamento vuoto che per un attimo si fanno corpo, apparizione tangibile. Due movimenti ascensionali, e verso l’esterno: oh where, oh where does my help come from?
Si dice che chi ha subito l’amputazione di un arto continui per qualche tempo a sentire il prurito nella parte di sé che non esiste più, come se l’organismo non si fosse ancora reso conto della perdita: quando gli origami lasciati in giro per la casa dell’uomo scompaiono, lasciano una ferita di cui forse sono già i primi graffi da prurito, leniti dalla forma levigata dello sguardo di Pastrello. Qual è la meccanica di The Secret Sharer, quale il taglio e quale l’automazione? Lo sguardo in macchina con cui Ticozzi chiude il corto è un altro gancio con Nexus, che pure mostra il padre di Pastrello guardare dritto nell’obiettivo, da un lato l’umanesimo quasi ridleyscottiano degli unicorni di carta, dall’altro la robotica biogenetica oramai a portata di mano: che siano alla fine due opere di fantascienza?

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Ecco, a proposito di immagine aumentata e di amputazione del quadro, Francesca Lixi fa con L’uomo con la lanterna, fresco vincitore del Premio Salani al Trieste Film Festival 2018, un film di found footage mutante, continuamente manomesso dai VFX che l’autrice applica sul campionario di scatti, oggetti, quaderni di appunti scovati nei bauli del misterioso zio bancario emigrato in Cina a metà degli anni ’20. Così come Nexus sembra un affare intimo e privato tra il regista e il padre Angelo Pastrello, allo stesso modo L’uomo con la lanterna è una sorta di confessione in prima persona da parte di Lixi della propria ossessione nei confronti dello zio Mario, e un tentativo con l’ausilio dello script scritto insieme a Wu Ming 2 di allargare una vicenda privata a racconto dell’operato delle banche italiane in Estremo Oriente ai tempi delle Concessioni Internazionali e dei Trattati Ineguali.
Più di tutto, però, il risultato è un fascinosissimo, ammaliante viaggio nell’evoluzione delle modalità di intervento sul repertorio preesistente, e di manipolazione dell’archivio, dal super8 alla stop motion agli effetti digitali, dalla ricerca in prima persona tra gli scaffali del Credito Italiano ai corsi di scrittura ai risultati di google images: ancora una volta, come in tutte queste storie, l’oggetto della ricerca sfugge, si svincola fino a scomparire, lasciandoci soli a grattare i fotogrammi vivi, come estensioni pulsanti e monche di noi stessi.

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