Il Quarto Stato: "Transformers", di Michael Bay

Questi robot giganteschi si appendono ai ponti, si nascondono tra gli alberi, saltano sui tetti dei palazzi, scherzano con gli uomini e con i cani. Sono loro a creare il Cinema, la visione. Superata la pesantezza materica del suo cinema, Bay dimostra che, nonostante il virtuale e il digitale, il controcampo è ancora possibile. Ed è più umano che mai. 

 

 

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Michael Bay, o della Sintesi. Forse è questo che disturba, ai detrattori dell’opera di questo strepitoso regista: il fatto che Cento Anni e passa di Cinema abbiano figliato Michael Bay. In questo miracoloso Transformers (e nessun altro aggettivo ci pare più adatto al film), Bay riesce nell’impresa di sintetizzare anche in un’unica sequenza visioni che provengono direttamente da Spielberg, da James Cameron, da John Carpenter (Christine ma anche La Cosa), dai Gremlins, da Ivan Reitman, dal Dottor Stranamore, da Sam Raimi. Già il geniale Pearl Harbour si rivelava paradossalmente un estremo film di sintesi; e Bad Boys 2, vero capolavoro teorico di Michael Bay, si trasformava in un   essenziale trattatello sull’estetica-Bruckheimer, con quell’utilizzo puramente strumentale di automobili da sfasciare, cadaveri da investire, Cuba da demolire. E oggi, davanti ad una foto in cui vediamo Michael Bay probabilmente spiegare come girare una sequenza di Transformers nel nulla di quella che sembra una pista d’atterraggio, in un set che verrà per intero innalzato in postproduzione al computer, ci

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viene da parafrasare la domanda delle domande, quella che nel bellissimo Sunshine di Danny Boyle lascia senza risposta il Capitano Kaneda, che finalmente nello spazio profondo si ritrova con gli occhi immersi nella Luce del Sole: “Michael Bay, che cosa vedi?”. Vede, anche stavolta come almeno da Armageddon, un cinema fatto di eroi, eroi che come un sol uomo avanzano verso lo schermo, epici, fieri e compatti come i personaggi della storica tela "Il quarto Stato" (1901) di Pellizza da Volpedo, per poi scomparire ai lati dell’obiettivo – da questo punto di vista, il finale di The Island viene dritto dritto da L’uscita degli operai dalla Fabbrica Lumiére: è un cinema-fabbrica, anche abbastanza evidentemente, quello di Michael Bay – lamiere, tubi, ferro, metallo. L’asteroide di amianto e carbone di Armageddon come i cunicoli di Alcatraz in The Rock come i sotterranei di Steve Buscemi in The Island – e finalmente in questo nuovo film, rinunciando finanche a qualcuna delle sue stilizzazioni formali, Bay supera la tangibilissima pesantezza materica del suo cinema precedente a favore di una raggiunta leggerezza di elementi in volo, in trasformazione, in azione (sarà stato il passaggio da Bruckheimer a Spielberg?), che lo accomuna senza alcun dubbio al Renny Harlin dell’insuperabile Driven. La lotta senza esclusione di colpi tra gli Autobot di Optimus Prime e i Decepticons di Megatron per la sopravvivenza delle specie Transformers e umana, in cui finisce implicato il giovane e formidabile Shia LaBeouf (Dito Montiel adolescente nella Guida per riconoscere i tuoi santi), è combattuta da questi robot giganteschi che si appendono ai ponti, si nascondono tra gli alberi, saltano sui tetti dei palazzi, scherzano con gli uomini e con i cani. Ma soprattutto, sono loro a creare il Cinema, la visione: Bumblebee trasformato-celato nella scassata Camaro gialla che il padre regala al personaggio di LaBeouf, il teenager Sam, seleziona in autoradio la colonna sonora adatta per aiutarlo a conquistare la bella Mikaela (Megan Fox), di cui s’è innamorato, e a cui ha offerto un passaggio. E Optimus proietta nell’aria dai suoi occhi il flashback con cui racconta e mette-in-scena il passato sanguinoso della specie dei Transformers. Gli è molto vicina una bellissima sequenza in cui l’occhio del regista riesce a far passare per miracolo attraverso lo schermo lo sguardo del Capitano Lennox in missione in Qatar (Josh Duhamel, ultimamente nelle sale anche con Turistas di Stockwell) fino a fargli raggiungere l’appartamento in cui moglie e bimbo appena nato lo guardano via webcam (con un montaggio che probabilmente, gioiosamente, e fortunatamente, contravviene a tutte le convenzioni scolastiche più elementari). Con il suo Transformers Michael Bay dimostra allora che, nonostante il video, il digitale, il virtuale, gli effetti speciali, il computer e Second Life, il controcampo è ancora possibile. Ed è più Umano che mai.

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Titolo originale: id.

Regia: Michael Bay
Interpreti: Shia LaBeouf, Megan Fox, Josh Duhamel, John Turturro, Jon Voight, Rachael Taylor
Distribuzione: UIP

Durata: 135’

Origine: USA, 2007

 

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