Il ragazzo più felice del mondo, di Gipi

L’esibizione del backstage e il metacinema prendono il sopravvento trasformando il finto documentario in un divertissment autobiografico. Piacevole e noioso allo stesso tempo

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Vediamo Gipi davanti alla macchina da presa iniziare a raccontare una storia e parlare direttamente allo spettatore, ma alle sue spalle il tecnico del suono entra in campo e manda a monte la ripresa. La gag funziona e si ricomincia da capo. E allora Gipi ritorna a parlare e la gag si ripete, perché – lo ammette lui stesso – “non siamo documentaristi, queste cose non le sappiamo fare”.

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Basterebbe questo incipit, curioso e ripetitivo, a suggerire pregi e difetti de Il ragazzo più felice del mondo. Il quarto titolo della filmografia del fumettista e illustratore Gian Alfonso Pacinotti (in arte Gipi) è un mockumentary che lo vede protagonista insieme alla sua troupe nell’atto di investigare su una strana storia che riguarda il mondo del fumetto. C’è infatti una persona che da più di venti anni scrive lettere a tutti gli illustratori e fumettisti italiani spacciandosi per un ragazzo di quindici anni appassionato della materia. Le lettere sono sempre uguali, hanno la stessa struttura e calligrafia, cambiano solo alcuni dettagli sulle opere citate e sui destinatari della comunicazione. Il fan anonimo chiede sempre uno “schizzetto” all’artista contattato. E il più delle volte lo ottiene. Per Gipi è una storia assurda. Chi si cela dietro questa identità? E non sarebbe bello smascherarlo e fargli conoscere di persona i suoi idoli, portandoglieli a casa?

Il documentario racconta quindi queste indagini attraverso consulenze, interviste, riflessioni etiche, sensi colpa, perdita di controllo e, sopra a ogni cosa, la necessità di raccontare storie, reali o inventate che siano. Questa è una storia reale, come ammette l’autore e come testimonia l’impostazione documentaristica, ma ben presto la costruzione, l’esibizione del backstage e il metacinema prendono il sopravvento trasformando il finto documentario in un divertissment autobiografico che accarezza tematiche come il narcisismo dell’autore, l’amicizia, l’alienazione.

Piacevole e noioso allo stesso tempo, L’uomo più felice del mondo è un’operazione strana da decifrare. Nei toni e nella “scrittura” sembra quasi una sorta di upgrade multimediale de Il caricatore – film nel film a basso costo diretto vent’anni fa da Massimo Gaudioso, Fabio Nunziata ed Eugenio Cappuccio. Gipi non inventa nulla, porta a casa accelerazioni divertenti – su tutte l’incontro con Domenico Procacci sul progetto La vita di Adelo, la versione del film di Kechiche interpretata da uomini, e il finale con la sequenza gay – per poi ingolfarsi in un processo narrativo e creativo legnoso, oscuramente cinico. E alla fine si corre davvero il rischio di stare davanti allo schermo e raccogliere poco di quello che vediamo e sentiamo.

 

Regia: Gipi (Gian Alfonso Pacinotti)

Interpreti: Gipi, Davide Barbafiera, Chiara Palmieri, Domenico Procacci, Kasia Smutniak, Jasmine Trinca

Distribuzione: Fandango

Durata: 90′

Origine: Italia 2018

 

 

 

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