Il rapporto 2017 del progetto DEA – Donne e Audiovisivo

Sviluppato dall‘Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali – CNR, il progetto ha presentato lo scorso 9 marzo il report Gap&ciak sulla prima annualità di lavoro. Il commento

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Il cinema italiano può sconfiggere le disuguaglianze di genere. Purché ne sia consapevole.
Questo il principio fondativo e programmatico, su cui opera il progetto triennale DEA – Donne e Audiovisivo sviluppato dall‘Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali – CNR.

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Il progetto, che il 9 Marzo ha presentato il report Gap&ciak sulla prima annualità di lavoro, affronta di petto il tema della parità di genere nel settore audiovisivo, non solo per scardinare gli stereotipi professionali dominanti (donne truccatrici, costumiste, segretarie di edizione da una parte di contro a uomini registi, direttori della fotografia dall’altra ecc…) quanto per affermare la necessità di una deifferenziata pluralità di sguardi sulle realtà veicolate dalle rappresentazioni mediali (un esempio concreto ce ne dà il senso spendibile: nel 2013 la regista Emma Dante a proposito del suo esordio Via Castellana bandiera, chiarì come una protagonista del suo film non fosse affatto ammirevole per il gesto di riconciliazione culinaria dei comprimari, poichè la figura femminile nel Sud d‘ambientazione, semplicemente adempie al dovere prescritto di far da mangiare!).
Scorrendo i dati s’apprende che, isolata la Svezia con le sue buone pratiche di discriminazione positiva nel piano di finanziamento pubblico, il problema riguarda gran parte del mondo occidentale. Tra il 2003 e il 2012 solo il 16% dei film europei con una distribuzione è stato diretto da una donna; Negli USA nel 2015 solo il 9% delle registe e l’11% delle scrittrici sono state coinvolte nelle principali produzioni hollywoodiane.

In Italia si stima che registe e sceneggiatrici insieme rappresentino il 25% del totale, ma nell’ultimo decennio soltanto il 9,2 % dei film approdati nelle sale è stato diretto da donne e si tratta in genere di film a basso budget con circolazione limitata. Solo il 12% dei film che hanno ottenuto un finanziamento pubblico sono opera di registe e solo il 21% tra quelli prodotti dalla Rai.
Dilagante è il disagio, se letto in parallelo al quadro legislativo italiano in favore delle pari

emma_dante_castellanabandieraopportunità di genere e ancor prima all”excursus storico sulle direttive economiche di non discriminazione dell’UE. Nonostante i marginali passi avanti, la sensazione generale resta un flashback di quanto recitava nel 2010 la piece teatrale Libere, di Cristina e Francesca Comencini (registe tra le fondatrici del movimento “Se Non Ora Quando”): ”Ci avete educato alla libertà, al rispetto di noi stesse, siamo andate nel mondo piene delle vostre aspettative. Solo che fuori non ne sapevano niente e tutto andava nel solito vecchio modo”. Il confronto generazionale ancora smaschera la precarietà delle conquiste, l’insufficienza del welfare e modelli massmediali lesivi della dignità delle donne. Le ultime generazioni denunciano il “Caro Di(v)ario” (la campagna di sensibilizazione lanciata proprio sulla scorta di DEA) tra la militanza ideologica e il retaggio di arcaiche consuetudini di pensiero maschilista, patriarcale, ma anche il cosiddetto familismo (l’appartenenza ai “salotti buoni”).

Eppure, a fronte di questi numeri, la proporzione di film diretti da donne che conseguono miglior riscontro nei festival nazionali e internazionali è maggiore, quasi il 16% in più degli uomini.
Preme allora constatare quanto non sia più una questione di rivelazione dello stato delle cose, piuttosto di mantenerne vigile e stabile la visibilità, non occasionale. Emblematico il caso de Le Meraviglie di Alice Rohrwacher a Cannes nel 2014, per cui la critica più illuminata marcava la necessità del cambiamento, sostenendo proprio come un cinema di soli uomini non fosse solo un ritardo numerico, bensì “una perdita di opportunità per gli spettatori, una perdita di immaginario”. Il secondo caposaldo su cui poggia DEA è infatti il potere della discorsivizzazione, che concorre a determininare il comportamento e non semplicemente a rifletterlo (com’è che ancora in un manuale di storia del cinema occorre giungere sino agli anni ’70, per leggere, i primi e unici, due nomi di cineaste italiane: Lina Wertmuller, Liliana Cavani!).

Tuttavia, in attesa di un futuro prossimo in cui poter far valere la qualità delle idee, anzichè le quote rosa, sul campo di battaglia cultuale – dunque la tanto agognata meritocrazia a prescindere dai sessi – imprescindibili restano gli interrogativi e i traguardi predeterminati dal progetto DEA (la costituzione di un database di professioniste/i di settore, expertise, tutoring di supporto, raccomandazioni ai policy makers) oggi più che mai, in forza della nuova Legge per il Cinema e suoi decreti attuativi.

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