Il sarto di Panama, di John Boorman

Un altro emozionante viaggio onirico, una discesa e ritorno dall’inferno. Boorman al tempo stesso rivela e nasconde, ma in realtà ci sono i segni di un incubo nascosto che attende di prendere forma

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Va ancora “oltre” il cinema di John Boorman. Oltre a ciò che si vede, va “oltre” in un cinema che continua a costruirsi per epifanie e a propagarsi in un’invidiabile e furiosa fisicità ma che sa anche combinarsi con la costruzione di un’eleganza formale impeccabile. In effetti Il sarto di Panama è altro da come apparentemente si presenta. Possiede, a prima vista, la falsa struttura del film di spionaggio, accumulato sul colpo depistante di Pierce Brosnan. In realtà, dopo il potente inizio dal taglio semidocumentaristico – le informazioni sul canale di Panama e sul paese – il film di Boorman è un altro emozionante viaggio onirico, una discesa e ritorno “dall'” inferno. Dentro Panama si annidano i segni di una lotta nascosta come in The General, rende inquietanti quegli spazi liberi e mai sicuri della Birmania di Oltre Rangoon, si circonda della oscurità della fotografia di Rousselot in cui nel fuori-campo sembrano esserci infiniti ed estesi territori come in Un tranquillo week-end di paura.

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Nel flusso si insistiti piani-sequenza (il “viaggio” all’interno della città), Boorman al tempo stesso rivela e nasconde, basandosi in parte sulla geometricità della scrittura del romanzo di John Le Carré. Ma in realtà c’è altro dentro Il sarto di Panama. C’è tutto un mondo che si (intra)vede, ci sono i segni di un incubo nascosto che attende di prendere forma, ci sono luoghi anonimi che sono potenziali trappole. A prima vista tra John Le Carré e Boorman ci potrebbero essere quelle nervose traiettorie narrativo/visive simili a quelle tra Graham Greene e Carol Reed in Il nostro agente all’Avana. Ma se in Reed il gioco sfocia in tragedia, in Boorman la componente ludica nasconde ancora una volta un regno di “non-vivi” ormai solidificati in un luogo “senza uscita” – l’inquadratura del canale di Panama è l’unico momento di un accesso dentro uno spazio che sembra ribaltare e reinventare la propria struttura geografica – corpi “non-vivi” o già morti (lo zio Benny, la “presenza/assenza” nel corpo di Harold Pinter), fantasmi che annidano ancora di più un livello di tensione mai esibita ma che in realtà si sente continuamente addosso.

Il sarto di Panama è un film che si costruisce e si sgretola in grado, come nell’estetica cameroniana, di rendere vere le menzogne (le tracce di un passato seppellito che riemerge, i debiti del sarto Harry, gli episodi di una “finta” rivoluzione”). Se Le Carré da corpo alla parola, Boorman da corpo alle immagini. Con una forza seduttiva capace ancora di far perdere lo sguardo all’interno di territori ogni volta vergini.

 

Titolo originale: The Tailor of Panama
Regia: John Boorman
Interpreti: Pierce Brosnan, Geoffrey Rush, Jamie Lee Curtis, Leonor Varela, Brendan Gleeson, Harold Pinter, Catherine McCormack, Daniel Radcliffe
Distribuzione: Columbia Tristar Films Italia
Durata: 109′
Origine:Gran Bretagna/USA, 2001

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.2

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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