Il sentiero della felicità, di Paola Di Florio e Lisa Leeman

Le registe non si limitano a raccordare i materiali audiovisivi di archivio, le testimonianze dei seguaci, ma ripropongono l’istanza narrante in prima persona, estratta dall’autobiografia di Yogananda

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Arriva nelle sale italiane, distribuito da Cineama, Il sentiero della felicità. Awake: The life of Yogananda, biografia documentaria sulla vita e sugli insegnamenti di Paramahansa Yogananda, realizzato dalle documentariste Paola Di Florio e Lisa Leeman.
Le registe non si limitano a raccordare i materiali audiovisivi di archivio, le testimonianze dei seguaci, lo storico incontro col Mahatma Gandhi e altro repertorio d’epoca, che tra autenticità delle fonti e rielaborazione di montaggio, ricontestualizzano la parabola di vita del celebrato Guru indiano, che negli anni venti introdusse il mondo occidentale alla pratica meditativa dello yoga.

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L’istanza narrante in prima persona, estratta dal testamento spirituale di Yogananda, Autobiografia di uno yogi, è riproposta integrata da sequenze visionarie (la cognizione cosmica pre-natale) e da una colonna musicale tali da rendere l’opera disinvolta,eppure intensa nell’indagare l’inedita dimensione trascendente dell’Al di qua, che Yogananda affermava non come religione, ma come “Arte della vita”. Una praticabilità virtuosa e incondizionata dell’esistenza che (si tenga conto o meno dell’etimo arcaico di “Arte”, come “andare verso”) si esplora come un sentiero interiore, purché ci si eserciti costantemente al viaggio.
Predestinato sin dall’infanzia alla vita ascetica, l’audacia del suo essere spirito incarnato agli albori dell’era atomica, tra il primo conflitto mondiale e le rivoluzionarie scoperte einsteiniane, si tradusse pragmaticamente nel farsi voce emancipata del creato, che manifestatosi respiro per ognuno, chiede di essere vissuto nella contingenza umana, svincolato dalle illusioni materialistiche, senza affatto abdicare al corporeo, ma al contrario ritrovando proprio in esso, nella regione dorsale, portante, l’inesauribile fulcro di ricongiunzione energetica con l’universo.

Meritevole di nota nell’economia del racconto, la tappa californiana dello swami, che dopo i primi tentativi di conferenze a Boston, intercettò nella Los Angeles Hollywoodiana il miglior clima di accoglienza intellettuale per la sua disciplina di accesso alla introiezione dell’invisibile umano; nonché le citazioni, in cui ai fini di una miglior comprensione teorica, Yogananda si serviva di paragoni cinematografici.
In definitiva, tutta la sua scienza meditativa, si concentrava proprio su di un unico ed essenziale atto di ri-orientamento del campo dello sguardo: l’io che volge dall’esterno al fondo di se stesso, per riappropriarsi della sua ancestrale armonia spaziotemporale, sua eterna origine.

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