Il testamento di Pier Paolo Pasolini: Salò o le 120 giornate di Sodoma

Proprio in coincidenza col 40° anniversario della scomparsa del cineasta e scrittore, torna oggi al cinema il suo ultimo film che scolpisce la parola Fine a tutto il cinema contemporaneo

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La mia indipendenza, che è la mia forza, implica la solitudine, che è la mia debolezza.” Pier Paolo Pasolini

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La rappresentazione del male allo stato puro. Non di un male diabolico, esoterico, proveniente dall’esterno, ingigantito dalle circostanze. Attraverso la soggettiva libera indiretta Pasolini potenzia l’arbitrarietà soggettiva delle immagini filmiche e rivela la loro finta oggettività analogica; l’effetto finale è destabilizzante e paradossalmente glaciale (Haneke è uno dei grandi estimatori di Salò); il “realismo allegorico” si libera della letteralizzazione del testo di De Sade (Le 120 giornate di Sodoma) e scende dentro l’inferno che non è retaggio di altri, ma appartiene a noi stessi. Questo effetto di straniamento su una materia così incandescente è il vero scandalo del film, perché Pier Paolo Pasolini mostrava l’irrapresentabile, varcava il limite dell’orrore scopico e lo faceva sulle note di una canzonetta dell’epoca o su un coro degli alpini. Con Salò, viene scolpita in esergo la parola Fine a tutto il Cinema contemporaneo. Dopo Salò, il diluvio, e la meglio gioventù va sotto terra.

salò o le 120 giornate di sodoma5La sceneggiatura è scritta con Citti e Pupi Avati (che farà ritirare il suo nome dal progetto) in maniera geometrica. 4 sezioni (Antinferno, Girone delle Manie, Girone della Merda, Girone del Sangue), 4 uomini di potere (il duca, il monsignore, il presidente, il magistrato), 4 meretrici che aizzano verbalmente i 4 signori, 4 mesi a cavallo tra il 1944 e il 1945 (per un totale esatto di 120 giorni 30 +31+31+28), 4 come il numero della morte. Le interpretazioni sul significato di questo film sono molteplici, c’è chi parla di metafora del potere corrotto, c’è chi parla di sessualità bloccata allo stato anale, di epifania dell’incubo ricorrente della guerra, c’è chi pone in primo piano l’accento fortemente politico ed eversivo del film sul modello di Ultimo tango a Parigi e La grande abbuffata. All’uscita della pellicola le reazioni furono abnormi e i dibattiti molto accesi, soprattutto dopo il sequestro per oscenità e le accuse di pedofilia. L’intento provocatorio di Pasolini poggiava sulla necessità di suscitare una reazione soprattutto in una classe intellettuale che si autocompiaceva del proprio livello culturale ma non muoveva un dito per migliorare lo stato delle cose. Il regista friulano ha sempre contestato questa enorme distanza tra cultura d’elite e cultura popolare, questo abisso da sempre presente nella società italiana. Pasolini aveva già previsto tutto, la tenicizzazione della società non accompagnata da un parallelo progresso culturale, la stupidità della mercificazione televisiva e l’enorme potere occulto dei mass media, l’involuzione retrograda innescata dal senso di colpa clericale, la censura violenta di ogni forma di pensiero destabilizzante per la società, la contaminazione e povertà nutritiva degli alimenti (gli italiani sono ciò che mangiano ovvero merda). Pasolini trasforma la sua rabbia spostando il limite ancora più in là e mostrandoci cosa siamo capaci di fare tra una citazione di Klossovsky e una musica di Mozart. Pasolini è emarginato, ostacolato, alienato, censurato non solo dai nemici storici riconosciuti (la destra, il potere clericale) ma anche dall’ala pseudointellettuale e radicalchic della sinistra che guarda con imbarazzo questo suo figlio degenere. Pasolini è onesto soprattutto perché fa autocritica, perché svela le ipocrisie e le contraddizioni delle nostre vite borghesi, perche punta il dito su chi predica bene e razzola male. Pasolini paga sul suo corpo martoriato la solitudine del genio e le premonizioni di una scomoda Cassandra. Ma se si rimane soli, si muore.

salò o le 120 giornate di sodoma Ritorniamo alla struttura del film. E cominciamo dall’Antinferno. Il sottotitolo potrebbe essere scene di caccia (umana ) in bassa padana e in effetti vengono rastrellati e sequestrati giovanetti e giovanette della zona di Marzabotto. Questi 4 signoroni fascisti stanno cercando carne giovane e fresca per i loro giochi sadici e per sperimentare tutte le perversioni in una villa isolata vicino al Lago di Garda, che diventa prigione e luogo infernale. Bellissima la scena nella quale il Duca (un Bonacelli assolutamente orripilante come gli altri tre compari) si accorge di una carie dentaria in una delle giovinette selezionate e la rifiuta in malo modo. “Tutto quello che è eccessivo è buono” ma si ha la sensazione netta che questi 4 depravati utilizzino il loro elevato livello culturale (continui rimandi a Proust e Baudelaire) e il loro potere sociale per organizzare una dittatura che sembra più un regolamento di conti prima della definitiva decadenza (da lì a poco si rovescerà tutto e ci sarà Piazzale Loreto). Nel Girone delle Manie sentiamo un po’ di coprolalia che dovrebbe scatenare i più bassi istinti. In realtà tutti gli atti sessuali rappresentati (dalla masturbazione alla sodomia) sono prosciugati da ogni connotazione edonistica e rimangono incompiuti e infantili. Vi sono improvvisi scoppi di riso ma non c’è alcuna ombra di gioia e di divertimento, solo crudeltà sadica. Più le vittime soffrono, piangono, si lamentano, più i quattro signori infieriscono, raggiungendo il grado desiderato di eccitazione solo infliggendo punizioni e violentando i poveri corpi. Terribile dal punto di vista figurativo la scena dei ragazzi nudi che a quattro zampe, privati di ogni dignità, si affollano sulle scalinate della ville e si umiliano per una razione del pasto. Il Girone della Merda è un guanto di sfida gettato in faccia allo spettatore ed è il superamento di un limite che porta la provocazione nella zona nietzschiana al di là del bene e del male, nella terra di nessuno dell’irrapresentabile. Il Girone del Sangue culmina con una serie di efferate torture guardate indirettamente attraverso un binocolo e senza sonoro, con un effetto estraniante da cinema muto mentre la radio passa i Carmina Burana di Orff. Che contrasto tra i quadri di Balla, Boccioni, Leger, Marinetti, Sironi e la rappresentazione dell’orrore umano.

“Sai ballare?”

“No”

“Proviamo un po’?”

“Come si chiama il tuo ragazzo?”

“Margherita”

 

salò o le 120 giornate di sodoma 3Il finale enigmatico di Salò è in realtà la chiave di lettura di tutto il film e anche la soluzione di ogni alambicco interpretativo: non c’è niente da capire, il male è banale, semplice, mediocre, si nutre della nostra normalità. Crediamo di sedurre e di impadronirci del segreto del piacere, invece siamo tanto tristi, davvero tristissimi come suggeriscono le note della canzone al’inizio e alla fine del film. La “tristezza durerà” perché Pasolini avverte ormai una completa estraneità alla società moderna, un totale scollamento tra pensiero e azione, una perenne contaminazione di ogni cellula con i germi dell’autodistruzione. Volevamo sedurre il male e invece il male ci ha sedotti, come ha fatto Faust con Margherita. Su quest’ultima parte più che alla visioni diabolico-surreali di Bosch nel quadro Il giardino delle delizie, viene da pensare al romanzo Il giardino dei supplizi di Octave Mirbeau, in cui viene sottolineata la natura sadica della società occidentale che impone la sua legge (politica, economica e religiosa) sulle classi meno abbienti e sugli ignoranti, spesso vittime passive e inconsapevoli di un genocidio antropologico.

Dopo la trilogia della vita questo trionfo medioevale della morte purtroppo diventa profezia. Il 2 Novembre 1975, il corpo martoriato di Pasolini verrà trovato sul lungomare di Ostia. Il confine è stato varcato: PierPaolo, non si torna più indietro. Iniziano i dibattiti sul film, sulla tua morte e, per uno scherzo del destino, con i giudizi e con le parole, del tuo corpo viene fatto scempio, della tua dignità di artista e letterato viene fatto un falò indecoroso. Sei torturato, ti fanno bere piscio e ingoiare merda, ti tagliano finalmente la lingua per non farti parlare, ti cavano gli occhi per non farti più guardare, ti bruciano l’uccello perché sovversivo. Si, ti hanno abbandonato tutti, soprattutto quelli che sapevano quello che facevano.La tua solitudine è diventata la tua debolezza. E’ l’estate, fredda, dei morti.

Regia: Pier Paolo Pasolini

Interpreti: Paolo Bonacelli, Giorgio Cataldi, Umberto Paolo Quintavalle, Aldo Valletti, Caterina Boratto, Elsa De Giorgi

Distribuzione: Cineteca di Bologna

Durata: 137′

Origine: Italia/Francia 1975

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